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Fatture soggettivamente inesistenti. Pesa la consapevolezza della frode del fornitore

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Per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti, occorre la consapevolezza dell’utilizzatore della frode commessa dal fornitore. Da ciò consegue che, trattandosi di reato di pericolo, a prescindere dall’effettiva evasione fiscale, è sufficiente anche il dolo eventuale. Ad affermarlo è la Cassazione con la sentenza n° 36415 depositata ad ottobre 2021. La vicenda trae origine dalla conferma da parte del Tribunale del riesame della misura cautelare in carcere e del sequestro preventivo a carico di un imprenditore. Tra i reati era contestata anche la dichiarazione fraudolenta con uso di fatture soggettivamente inesistenti. Il provvedimento veniva impugnato in Cassazione lamentando che nella condotta mancasse la finalità evasiva e quindi la prova del dolo specifico: ogni fattura era stata pagata e mancava qualsivoglia vantaggio.

I giudici di legittimità hanno rilevato come fosse incontestato che l’imprenditore avesse contattato le società cartiere per richiedere l’emissione delle fatture e che fosse consapevole delle attività illecite. In tale contesto la Cassazione ha evidenziato che nel reato di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti il dolo è ravvisabile nella consapevolezza che chi ha reso la prestazione non ha fatturato il corrispettivo, conseguendo un indebito vantaggio fiscale. E’ tuttavia logico ritenere che chi è consapevole del meccanismo fraudolento, sia anche disposto ad accettare il rischio conseguente al reato. La “lucida accettazione” del fine di evasione come conseguenza della propria condotta rappresenta così il dolo eventuale. La giurisprudenza di legittimità da tempo ha ritenuto compatibile il dolo eventuale con il dolo specifico richiesto dalla norma e ciò anche perchè la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti è un reato di pericolo e non di danno e quindi prescinde da una effettiva evasione del debito tributario. La decisione chiarisce che in ipotesi di fatture soggettivamente inesistenti occorre la prova della consapevolezza da parte di chi  ha utilizzato i documenti della frode perpetrata dal proprio fornitore. Concetto noto in ambito tributario atteso che per la giurisprudenza nazionale e UE la detraibilità dell’IVA delle fatture soggettivamente inesistenti è subordinata alla sussistenza della buona fede del contribuente. Occorre cioè che egli dimostri che adottando l’ordinaria diligenza non sapeva e non avrebbe potuto sapere degli illeciti commessi dal fornitore.

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