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Litiga per il parcheggio ed investe la “rivale”: lesioni personali volontarie o colpose?

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Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva, per quanto di qui di interesse, confermato la condanna inflitta in primo grado ad una donna per il reato di lesioni personali volontarie, riconoscendo nel suo comportamento il dolo eventuale, la Corte di Cassazione penale, Sez. V, con la sentenza 22 novembre 2022, n. 44407 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui, nell’occorso, si era in presenza di un agire incauto e di un’accettazione consapevole di una situazione di rischio, elementi caratteristici della colpa con previsione (c.d. colpa cosciente) – ha riaffermato il principio secondo cui ricorre la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza 22 novembre 2022, n. 44407

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. IV, 12/5/2017, n. 35585

Cass. pen. sez. Unite, 18/9/2014, n. 38343

Difformi Non si rinvengono precedenti in termini

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 43, c.p., sotto la rubrica «Elemento psicologico del reato», stabilisce che “il delitto: è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente; è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico”.

Per quanto qui di interesse, in tema di elemento soggettivo del reato, le Sezioni Unite hanno tracciato chiaramente il discrimen tra il dolo eventuale e la colpa cosciente, affermando che ricorre il primo quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (Cass. pen. sez. Unite, n. 38343 del 18/09/2014), Espenhahn e altri, CED Cass. 261104-01).

Le Sezioni unite hanno, dunque, rimarcato la centralità nel dolo eventuale della componente volitiva dell’elemento soggettivo, affermando che “se la previsione è elemento anche della colpa cosciente è sul piano della volizione che va ricercata la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente“, laddove “la colpevolezza per l’accettazione del rischio non consentito corrisponde alla colpevolezza propria del reato colposo non alla più grave colpevolezza che caratterizza il reato doloso”. Ai fini della configurabilità del dolo eventuale, pertanto, non basta “la previsione del possibile verificarsi dell’evento; è necessario anche – e soprattutto – che l’evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il raggiungimento di un determinato risultato”. Nella prospettiva tracciata dalle Sezioni Unite (par. 50) dirimente ai fini della configurabilità del dolo eventuale è un “atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all’evento per il caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta”.

Nella consapevolezza della complessità dell’accertamento giudiziale, le Sezioni Unite hanno enucleato alcuni indicatori del dolo eventuale, quali:

a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa;

b)  la personalità e le pregresse esperienze dell’agente;

c) la durata e la ripetizione dell’azione;

d) il comportamento successivo al fatto;

e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali;

f) la probabilità di verificazione dell’evento;

g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione;

h)  il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (c.d. formula di Frank).

Questo vuol dire che, per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa potendo fondarsi sugli indicatori sopra richiamati nell’indagine giudiziaria volta a ricostruire l'”iter” e l’esito del processo decisionale, può (Cass. pen. sez. V, n. 23992 del 23/02/2015, CED Cass. 265306).

Può dirsi, quindi, che sussiste il dolo eventuale, e non la colpa cosciente, quando l’agente si sia rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell’evento e si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di cagionarlo come sviluppo collaterale o accidentale, ma comunque preventivamente accettato, della propria azione, in modo tale che, sul piano del giudizio controfattuale, possa concludersi che egli non si sarebbe trattenuto dal porre in essere la condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento medesimo (Cass. pen. sez. I, n. 18220 dell’11/03/2015, CED Cass. 263856).

Mentre, ricorre la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (Cass. pen., Sez. IV, n. 35585 del 12/5/2017, CED Cass. 270776).

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello, in parziale riforma della decisione del Tribunale che aveva dichiarato una donna colpevole di lesioni personali, cagionate alla persona offesa in occasione di una lite per ragioni di parcheggio in una via cittadina, aveva ridotto la pena e ridotto l’entità del risarcimento, escludendo la provvisionale.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell’imputato, per quanto qui rileva, si doleva con riguardo all’elemento soggettivo del delitto di lesioni personali, ravvisato erroneamente dalla Corte di appello nella forma del dolo eventuale, dal momento che, contestualizzando il fatto, alla luce di quanto ricostruito dalla stessa sentenza impugnata, la condotta della donna era stata connotata da imprudenza e imperizia, non da dolo, atteso che, secondo evocati approdi di legittimità, l’agire incauto e l’accettazione consapevole di una situazione di rischio sono elementi caratteristici della colpa con previsione (c.d. colpa cosciente).

La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C. richiamati i principi giurisprudenziali in materia, con particolare riferimento all’arresto delle Sezioni Unite nel caso Thyssen, ha rilevato come la Corte di appello, dopo avere premesso che “è logico e ragionevole ipotizzare che l’imputata l’abbia urtata mentre, in maniera affrettata, e verosimilmente in stato di agitazione per l’ingorgo causato e il concerto di clacson delle macchine bloccate, entrava di prepotenza nel posto lasciato libero salendo sul marciapiede” , con evidente salto logico che palesava la denunciata contraddittorietà della motivazione, aveva poi affermato, con riferimento al profilo rappresentativo dell’elemento soggettivo, ossia alla previsione del possibile verificarsi dell’evento che la presenza della p.o. era ben visibile e l’imputata non aveva dato elementi per ritenere che contasse di potere manovrare con tale abilità, salendo sul marciapiede, da poterla evitare “entrò di prepotenza a costo anche, come poi effettivamente avvenne, di urtarla con le ruote”.

Invero, hanno osservato i Supremi Giudici, poiché la colpa cosciente è configurabile nel caso in cui l’agente abbia previsto in concreto che la sua condotta poteva cagionare l’evento, ma abbia agito con il convincimento di poterlo evitare, ai fini della valutazione della responsabilità, il giudice è tenuto ad indicare analiticamente, con idonea motivazione, gli elementi sintomatici da cui sia desumibile, non la prevedibilità in astratto dell’evento, bensì la sua previsione in concreto da parte dell’imputato. La Corte d’appello avrebbe, dunque, dovuto confrontarsi con tutte le specifiche circostanze del fatto e, in specie, con il comportamento dell’imputata: l’avere agito in preda ad agitazione, il non essere una guidatrice provetta (tanto da avere effettuato un parcheggio “non impeccabile” come riferito dal marito dell’imputata), l’avere chiesto l’intervento delle Forze dell’ordine, onde enucleare, con maggiore precisione e valutandone analiticamente gli indicatori sintomatici, l’elemento soggettivo del reato.

Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 43 c.p.

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