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Beccato in auto con 90 euro e alcune dosi di cocaina: escluso l’uso personale

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Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta ad un uomo per il reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente del tipo cocaina, la Corte di Cassazione penale, Sez. IV, con la sentenza 5 dicembre 2022, n. 45920 – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui l’affermazione della penale responsabilità sarebbe avvenuta ancorché non vi fosse prova certa che la sostanza non era detenuta per uso personale – nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha in sostanza fatto applicazione del principio secondo cui, in materia di stupefacenti, sia la prova della destinazione della droga ad uso personale, sia quella della destinazione allo spaccio, può essere tratta da qualsiasi elemento o dato indiziario che – con rigore, univocità e certezza – consenta di inferirne la sussistenza attraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza.

Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 5 dicembre 2022, n. 45920

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. IV, 16/05/1997, n. 4614
Difformi Non si rinvengono precedenti in termini

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 75, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sotto la rubrica «Condotte integranti illeciti amministrativi», punisce con una o più sanzioni amministrative (sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni; sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla; sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli; sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario), la condotta di chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto, per un periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall’articolo 14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo.

Secondo quanto prevede il comma 1-bis della medesima disposizione, “Ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1, si tiene conto delle seguenti circostanze:

  1. a) che la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa non sia superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche antidroga, nonché della modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell’azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso esclusivamente personale;
  2. b) che i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, non eccedano il quantitativo prescritto”.

Il problema della distinzione tra detenzione ad uso esclusivamente personale (irrilevante penalmente) e detenzione illecita (penalmente rilevante) ha da sempre caratterizzato il dibattito giurisprudenziale in materia.

Sin dalle prima applicazioni giurisprudenziali successive al referendum abrogativo della previsione che attribuiva rilevanza penale alla detenzione ad uso esclusivamente personale di stupefacenti, la Cassazione aveva avuto modo di chiarire che le disposizioni parzialmente abrogative di cui al D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, riguardano esclusivamente la detenzione della sostanza stupefacente finalizzata all’esclusivo uso personale e solo per questa fanno venire meno l’applicazione di sanzioni penali. Pertanto, la mera detenzione, senza che il soggetto provi l’esclusivo uso personale, integra il reato ex art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Cass. pen. sez. IV, sentenza n. 2525 del 06/03/1996, CED Cass. 204180 – 01).

I più recenti approdi sono sintetizzabili in quella giurisprudenza la quale ritiene che, in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, la detenzione di un quantitativo inferiore al limite stabilito con D.M., in attuazione della nuova normativa introdotta con L. n. 49/2006, non esclude la destinazione illecita, qualora la detenzione sia qualificata da elementi di fatto che inducano a ravvisare quel finalismo che è tuttora elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990; parallelamente, il mero superamento del predetto limite può assumere valenza meramente indiziaria della destinazione della sostanza all’uso non esclusivamente personale, e non è sufficiente ad integrare il reato, in presenza di elementi di segno opposto, prospettati dall’imputato o comunque emergenti “ex actis” (tra le tante: Cass. pen. sez. IV, sentenza n. 31103 del 24/07/2008, CED Cass. 242110 – 01).

In particolare, sulla stessa scia si è affermato che, in materia di stupefacenti, sia la prova della destinazione della droga ad uso personale, sia quella della destinazione allo spaccio, può essere tratta da qualsiasi elemento o dato indiziario che – con rigore, univocità e certezza – consenta di inferirne la sussistenzaattraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza (Cass. pen. sez. IV, sentenza n. 4614 del 16/05/1997, CED Cass. 207485 – 01).

Ciò comporta, peraltro, che l’onere di dimostrare la destinazione illecita della detenzione di sostanze stupefacenti incombe sul PM (Cass. pen. sez. IV, sentenza n. 31103 del 24/07/2008, CED Cass. 242111 – 01).

In ogni caso, e conclusivamente, si afferma tradizionalmente come in tema di stupefacenti, a seguito della modifica dell’art. 73, comma 1-bis, lett. a), del D.P.R. n. 309/1990, introdotta con l’art. 4-bis, L. 21 febbraio 2006, n. 49, il parametro della quantità costituisce, assieme alle modalità di presentazione della droga e ad altre circostanze dell’azione, uno dei possibili indici da cui desumere la destinazione ad un uso non esclusivamente personale, ed il relativo giudizio, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato del giudice di legittimità (Cass. pen. sez. VI, sentenza n. 19788 del 16/05/2008, CED Cass. 239963 – 01).

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello aveva confermato la sentenza pronunciata – all’esito di giudizio abbreviato – dal GIP del Tribunale con la quale un imputato era stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per aver detenuto a fini di spaccio: nella propria autovettura, occultati sotto al sedile lato passeggero, 6 involucri contenenti cocaina del peso complessivo di gr. 2,46; sulla propria persona, tre involucri contenenti gr. 0,78 della stessa sostanza. Ricorrendo in Cassazione, l’imputato sosteneva che l’affermazione della penale responsabilità sarebbe avvenuta ancorché non vi fosse prova certa che la sostanza non era detenuta per uso personale.

La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui in massima. In particolare, ha rilevato come la Corte d’appello aveva ritenuto che la sostanza rinvenuta nella disponibilità del reo non fosse destinata ad uso esclusivamente personale perché era suddivisa in dosi e in parte occultata sotto il sedile della macchina.

Aveva attribuito rilievo in tal senso al dato ponderale complessivo (gr. 3,24 di sostanza) e alla percentuale di principio attivo (79%), sottolineando, inoltre, che nella disponibilità dell’imputato era stata rinvenuta la somma di 90 euro suddivisa in banconote di vario taglio.

A fronte di tali argomentazioni il reo aveva obiettato che la suddivisione della sostanza in più involucri non fosse incompatibile con l’uso personale e neppure lo fosse la disponibilità di 90 Euro in contanti, trattandosi di una somma relativamente modesta che chiunque può detenere, anche se non ha un lavoro. La difesa sottolineava inoltre che la quantità di principio attivo era idonea al confezionamento di 1,7 dosi e dunque ampiamente compatibile con la destinazione ad uso personale. In sintesi, secondo il reo, vi era un ragionevole dubbio in ordine alla destinazione della sostanza ad uso di terzi.

La Cassazione, come anticipato, ha disatteso la tesi della difesa, ribadendo come, per giurisprudenza costante, il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, introdotto nell’art. 533 c.p.p. dalla L. n. 46/2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello.

La Corte di legittimità, infatti, è chiamata ad un controllo sull’esistenza di una motivazione effettiva, che deve compiere attraverso una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, ma la sua valutazione non può mai sconfinare nel merito (fra le tante. Cass. pen. sez. II, n. 29480 del 07/02/2017, C., CED Cass. 270519; Cass. pen. sez. I, n. 53512 del 11/07/2014, G., CED Cass. 261600).

Nel caso di specie, la sentenza della Corte d’appello aveva considerato indici significativi della destinazione della sostanza all’uso di terzi la suddivisione della stessa in nove involucri e la constatazione che il reo ne aveva indosso una parte mentre l’altra era occultata sotto il sedile della macchina. Tale motivazione non presentava, per la S.C., profili di contraddittorietà o manifesta illogicità e non poteva essere considerata carente. La Corte d’appello poi aveva valorizzato la circostanza che l’imputato aveva indosso 90 Euro in banconote di vario taglio e la motivazione non poteva dirsi manifestamente illogica tanto più che, come lo stesso imputato aveva riferito, non aveva un lavoro.

Da qui, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 75, D.P.R. n. 309/1990

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