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Reati edilizi

Reati edilizi

Da due immobili agricoli a dieci villini? Non è ristrutturazione ma lottizzazione abusiva

venerdì 27 gennaio 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale del riesame, nel riformare il provvedimento di sequestro disposto dal GIP, lo aveva annullato ritenendo non configurabile il reato di lottizzazione abusiva, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 18 gennaio 2023, n. 1670 – nell’accogliere la tesi del Pubblico Ministero secondo cui erroneamente il tribunale aveva sostenuto la legittimità delle opere sequestrate, ritenendo trattarsi di ristrutturazione edilizia nella demolizione di una casa colonica costituita da due unità immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui due su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura fotovoltaica – ha invece affermato il principio che nel definire gli “interventi di ristrutturazione edilizia”, la normativa attuale non prescinde, né potrebbe, dalla necessità che venga conservato l’immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero e, allo stesso modo, la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti è possibile al solo fine del loro “ripristino”, termine quest’ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso.

Cassazione penale, Sez. III, sentenza 18 gennaio 2023, n. 1670

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. III, 10/01/2020, n. 23010
Difformi Non si rinvengono precedenti in termini

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 3, lett. d), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, meglio noto come Testo Unico dell’Edilizia, definisce “interventi di ristrutturazione edilizia“, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti.

Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.

Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lett. c) e d), e 142, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.

La nozione di ristrutturazione edilizia, introdotta inizialmente con l’art. 31, lett. d), L. n. 457/1978, e da ultimo tradottasi nelle previsioni di cui all’art. 3, comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, è stata interessata da progressivi interventi legislativi, che hanno ampliato la stessa. Purtuttavia, nonostante il riportato ampliamento, in particolare con la novella introdotta dall’art. 10 del decreto del 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, dell’ambito di operatività della nozione attuale di ristrutturazione, con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, permane comunque la ratio qualificante l’intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, è comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso.

Si tratta di un indirizzo più volte sottolineato negli anni, oltre che dalla dottrina, anche dalla giurisprudenza. In tal senso si è espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha evidenziato che la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non può fare a meno di una certa continuità con l’edificato pregresso (T.A.R. Veneto n. 660 del 02/05/2022; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna sez. II, 16/02/2022, n. 183; Cons. stato sez. II, 06/03/2020, n. 1641) e analogamente ha fatto la Corte di cassazione (Cass. pen. sez. III, n. 23010 del 10/01/2020, CED Cass. 280338 – 01) laddove ha precisato, ancorché rispetto a un quadro normativo non inclusivo ancora del citato D.L. n. 76/2020, che l’art. 3, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 380/2001, nel definire gli “interventi di ristrutturazione edilizia” non prescinde, né potrebbe, dalla necessità che venga conservato l’immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti è possibile al solo fine del loro “ripristino”, termine quest’ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso. La ristrutturazione, per definizione, non può mai prescindere dalla finalità di recupero del singolo immobile che ne costituisce l’oggetto.

In tale quadro è stata sottolineata, molto opportunamente, “la necessità di un’interpretazione della definizione dell’intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lett. d) dell’art. 3, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, che sia aderente alla (e non tradisca la) finalità di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalità che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di “nuova costruzione” di cui alla successiva lett. e), e non si presti all’elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione.

Del resto, la conferma della ontologica necessità che l’intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversità tra la struttura originaria e quella frutto di “ristrutturazione”, non possa prescindere dal conservare traccia dell’immobile preesistente, è fornita dallo stesso art. 10 sopra già citato, integrativo dell’art. 3, comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, laddove si premette che le novelle introdotte rispondono “al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo”.

Anche la lettura stessa del citato art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 depone in tal senso, laddove, da una parte, definisce come ristrutturazione “gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso”, dall’altra, distingue rispetto ad essa gli “interventi di nuova costruzione” (art. 3 comma 1 lett. e), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia. In altri termini, con riguardo alla ristrutturazione non vi è spazio per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente.

Tanto premesso, nel caso in esame, l’ipotesi accusatoria atteneva all’intervenuto rilascio di un permesso di costruire autorizzante la demolizione di una casa colonica costituita da due unità immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui due su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura fotovoltaica.

Orbene – come evidenziato dalla S.C. nella sentenza in commento, con cui accoglie l’impugnazione del PM che contestava la qualificazione data dal tribunale del riesame all’intervento come ristrutturazione edilizia – si tratta di interventi edilizi in corso, funzionali, come appare evidente per quanto immediatamente sopra illustrato, non alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma pur sempre identificabile con quest’ultimo, quanto, piuttosto, di plurimi e diversi organismi, quali le villette, ancorché in linea; laddove la previsione di una strada e di 24 parcheggi a raso conferma la predisposizione di un nuovo complesso residenziale, come tale distante dal criterio fondante della ristrutturazione, che pur con l’ampiezza operativa concessa ai sensi dell’art. 3 attualmente vigente, impone, comunque, per rispettare la ratio dell’intervento e la distinzione rispetto ad altre operazioni edilizie, e in particolare rispetto alle “nuove costruzioni”, un connubio materiale o comunque funzionale e identitario, tra l’edificio originario e l’immobile frutto di ristrutturazione.

Correlazione evidentemente assente allorquando, come nel caso di specie, precisa la S.C., rispetto ad un unico edificio – quale la casa colonica comprensiva di due unità immobiliari – si prospettano plurime e autonome unità immobiliari, quali le 10 ville, nel contesto, peraltro, di una strada e di un parcheggio integranti interventi per i quali pare assente ogni riferimento strutturale originario, idoneo a inquadrare anche tali ultime opere nel novero di una ristrutturazione. Né, per quanto detto, appariva pertinente la precisazione per cui con legge regionale sarebbe caduto il divieto di realizzare, previa demolizione e ricostruzione, diverse unità immobiliari, atteso che qui viene in rilievo non la possibilità, consentita, che il nuovo organismo contempli, in sé, altre unità immobiliari, ma la necessità che l’operazione di ripristino non si traduca nella moltiplicazione, da un unico edificio, di più distinte e autonome strutture edilizie.

In altri termini, afferma la Cassazione, seppure la recente novella del 2020 abbia contribuito a delineare la possibilità di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all’organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessarti appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma /volumetria o, ancora, l’identità del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorché trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso. Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l’assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio.

Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso del PM.

Riferimenti normativi:

Art. 3, lett. d), D.P.R. n. 380/2001

Art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001

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