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La procedibilità a querela introdotta dalla riforma “Cartabia” non rileva in Cassazione se il ricorso è inammissibile

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Procedura penale

Reato in genere

La procedibilità a querela introdotta dalla riforma “Cartabia” non rileva in Cassazione se il ricorso è inammissibile

giovedì 09 febbraio 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer
Pronunciandosi su due distinti ricorsi proposti avverso le sentenze con cui la Corte d’appello aveva confermato, in ambedue i casi, la responsabilità penale per il reato di furto aggravato, la Corte di Cassazione Sez. IV, con le sentenze 1° febbraio 2023, n. 4183 e n. 4186– nell’esaminare d’ufficio la questione della procedibilità del reato di furto aggravato, a seguito delle modifiche introdotte dalla riforma “Cartabia” – ha affermato il principio secondo cui la nuova previsione (secondo la quale, per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del decreto attuativo della “Cartabia” (D.Lgs. n. 150/2022), commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso (avvenuta, come è noto, il 30 dicembre 2022), il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato), non obbliga la Cassazione ad attendere il decorso dei tre mesi ove il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.

Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 1° febbraio 2023, n. 4183
Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 1° febbraio 2023, n. 4186

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. Unite, 21/06/2018, n. 40150
Difformi Non si rinvengono precedenti in termini

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, il furto aggravato è oggi procedibile a querela di parte. Si procede, infatti, d’ufficio solo se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numero 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis). Diventano in particolare procedibili a querela di parte:

1) le lesioni personali, salvo che ricorra taluna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 61, n. 11-octies), 583 e 585 (ad eccezione di quelle contro ascendente o discendente, coniuge o unito civilmente, anche separati o divorziati, convivente, fratello, sorella, padre e madre adottivi, figli adottivi o affini in linea retta, che sono a querela), ovvero salvo che la malattia abbia una durata superiore a venti giorni e la persona offesa sia soggetto incapace, per età o per infermità;

2) le lesioni personali stradali gravi o gravissime, ad eccezione dei casi in cui ricorre una delle circostanze aggravanti previste dall’art. 590-bis c.p.;

3) il sequestro di persona, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità;

4) la violenza privata, ad eccezione dei fatti aggravati ai sensi del secondo comma dell’art. 610 c.p. ovvero commessi ai danni di persona incapace, per età o per infermità;

5) la minaccia, salvo che sia fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, o sia grave e ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, o la persona offesa sia incapace, per età o per infermità;

6) la violazione di domicilio, salvo che il fatto sia commesso con violenza alle persone, o il colpevole sia palesemente armato o il fatto sia commesso con violenza sulle cose ma nei confronti di persona incapace, per età o per infermità;

7) come anticipato, il furto, salvo che la persona offesa sia incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorra taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, n. 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, 7-bis), ossia nel caso di furto di componenti metalliche di infrastrutture per l’energia o il servizio di trasporto o telecomunicazioni, gestite da soggetti pubblici o concessionari pubblici;

8) la turbativa violenta del possesso di cose immobili, salvo che la persona offesa sia incapace, per età o per infermità;

9) il danneggiamento, ad eccezione del fatto commesso in occasione del delitto di interruzione di pubblico servizio o ai danni di persona incapace, per età o per infermità;

10) la truffa, purché non aggravata ai sensi del secondo comma dell’art. 640 c.p.;

11) la frode informatica, salvo non ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma, o vi sia approfittamento di circostanze della persona, anche in riferimento all’età, che ostacolano la difesa;

12) il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, o sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità;

13) la molestia o disturbo alle persone, ad eccezione di quando il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità.

L’art. 85 del D.Lgs. n. 150/2022 (come modificato dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199 di conversione del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162), nel dettare disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità ha stabilito che «Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato».

Si è quindi posto nella giurisprudenza di legittimità il problema se, nei giudizi in corso, occorresse attendere o meno il decorso dei tre mesi al fine di poter decidere sui ricorsi pendenti. La Cassazione, come avvenuto nell’ipotesi in esame, ha fornito una soluzione negativa. In particolare, secondo la S.C. non v’è necessità di attendere che decorrano tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto (30 dicembre 2022). Trova, infatti, applicazione il principio affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36. La disciplina transitoria prevedeva, in quel caso (art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 36/18), che dovesse essere dato avviso alla persona offesa della possibilità di proporre querela e il Supremo collegio ritenne che questo avviso non dovesse esser dato, nei giudizi pendenti in sede di legittimità, nei casi di inammissibilità del ricorso (Cass. pen. sez. Un., n. 40150 del 21/06/2018, S., CED Cass. 273551.).

Fu rilevato in quel caso, facendo ampio riferimento ai principi affermati in altre decisioni del Supremo collegio (in particolare, Cass. pen. sez. Unite, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, R.) che l’art. 129 c.p.p. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione.

Non riveste, cioè, per quanto qui d’interesse, valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione.

Tale argomentare è stato ritenuto pertinente con i due casi esaminati. Esso consente, infatti, per la Cassazione, di escludere che il procedimento sia “pendente” in presenza di un ricorso inammissibile. Come sottolineato anche dalla sentenza della Cassazione (Cass. pen. sez. Unite, n. 12602 del 17/12/2015), precisa la S.C., tale affermazione non è in contrasto con i diritti fondamentali sul giusto processo garantiti dalla CEDU. È onere della parte interessata, infatti, attivare correttamente il rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali paralizza i poteri cognitivi del giudice e non vengono perciò in considerazione l’equità o la razionalità del processo. La sopravvenienza della procedibilità a querela, peraltro, ha valore ben diverso dalla abolitio criminis e la giurisprudenza ha costantemente escluso che il giudice dell’esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità.

Come opportunamente rilevato dalla sentenza Salatino, inoltre, la mancanza della condizione di procedibilità viene comunemente trattata nel giudizio di legittimità come una questione di fatto, soggetta alle regole della autosufficienza del ricorso (Cass. pen. sez. VI, n. 44774 del 08/10/2015, R., CED Cass. 265343) e ai limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (Cass. pen. sez. III, n. 39188 del 14/10/2010, S., CED Cass. 248568), sicché non può dirsi che la declaratoria di inammissibilità del ricorso sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata (Sez. U. Salatino, cit., CED Cass. 273551, a pag. 16 della motivazione).

In ambedue i casi esaminati, dunque, il mutato regime di procedibilità del reato si è ritenuto non avesse rilevanza e non precludesse l’immediata dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con riferimento al furto.

In precedenza, in tema di nuova condizione di procedibilità della confisca introdotta dalla cd. “riforma Cartabia”, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, ultimo comma, c.p. formulata in relazione all’art. 1, comma 14, della legge delega n. 134 del 2021, nella parte in cui non prevede che, per i fatti commessi anteriormente alla sua promulgazione, indipendentemente dalla successiva emanazione o mancanza del decreto legislativo di attuazione, debba essere inviato un avviso al soggetto nei confronti del quale è disposta la confisca per equivalente (nella specie relativa al profitto del reato tributario di cui all’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000) prima di procedere all’esecuzione del provvedimento ablatorio, in difetto di precedente sequestro, perché lo stesso ha ad oggetto una disposizione ad effetti tipicamente processuali, come tale applicabile secondo il principio tempus regit actum, senza immediate ricadute “dirette” sulla quantità e qualità di pena applicabile al condannato agli effetti dell’art. 25, comma 2, Cost. (Cass. pen. sez. III, n. 45120 del 28/11/2022).

Da qui, pertanto, l’inammissibilità, in entrambi casi trattai, dei ricorsi proposti dagli imputati.

Riferimenti normativi:

Art. 624 c.p.

Art. 625 c.p.

D.Lgs. n. 150/2022

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