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Inammissibilità vs. improcedibilità per difetto di querela dopo la Cartabia: la Cassazione fa ordine

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Procedura penale

Processo penale

Inammissibilità vs. improcedibilità per difetto di querela dopo la Cartabia: la Cassazione fa ordine

venerdì 24 marzo 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado per il reato di furto aggravato (art. 625, comma 1, n. 2, c.p.), nei confronti di un uomo, la Corte di Cassazione penale, Sez. V, con la sentenza 16 marzo 2023, n. 11229 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui non era configurabile l’aggravante contestata – risolvendo il problema della intervenuta procedibilità a querela di tale reato, ha affermato che a fronte di un ricorso inammissibile, il mutato regime di procedibilità a querela del reato non determina alcuna possibilità di incidere un “giudicato sostanziale” che si è già formato ed i cui effetti, pur siglati dalla constatazione operata dalla decisione della Cassazione, retroagiscono al momento del mancato instaurarsi di un valido rapporto processuale.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza 16 marzo 2023, n. 11229

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi: Cass. pen. sez. Unite, 21/06/2018, n. 40150
Difformi: Non si rinvengono precedenti in termini

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. “Riforma Cartabia”), ha modificato la procedibilità d’ufficio di alcune fattispecie di reato (sia delitti che contravvenzioni), specificamente individuate dall’art. 2 del decreto citato, strutturato in un unico, complesso comma; tra queste, anche i reati di furto aggravato ex art. 625 c.p., da sempre procedibili d’ufficio. Per effetto della novella, all’art. 624, il comma 3 è sostituito dal seguente: “Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede, tuttavia, d’ufficio se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all’art. 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis)”.

In seguito alla conversione in legge del decreto-legge di differimento dell’entrata in vigore della riforma – il D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, conv. in L. 30 dicembre 2022, n. 199 – sono stati eliminati gli oneri di informazione della persona offesa a carico della autorità giudiziaria, mutuati da precedenti, analoghe novelle (L. n. 689/1981 e D.Lgs. n. 36/2018) e già previsti dall’art. 85, comma 2, del citato D.Lgs. n. 150/2022, nella versione non entrata in vigore per effetto del differimento (art. 6 D.L. n. 162/2022). Tale disposizione è stata espunta dalla norma transitoria fissata nel citato art. 85, sicché, attualmente, la presentazione della querela per il reato già procedibile d’ufficio è un onere “spontaneo” della persona offesa, che manifesta così la volontà che si proceda o si continui a procedere.

Secondo l’opinione anche di una parte della dottrina, la scelta legislativa di optare per l’eliminazione degli oneri di informazione (sicuramente gravosi, anche per le consistenti dimensioni quantitative, in termini di numero di procedimenti interessati, dell’intervento di novella) è scaturita proprio dalla prolungata vacatio legis, (oltre due mesi), seguita al differimento dell’entrata in vigore della riforma, che ha consentito un periodo, in qualche modo, di “assorbimento” nel circuito sociale e giuridico del mutato regime di procedibilità. Sono state inserite, inoltre, nel tessuto dell’art. 85, D.Lgs. n. 150/2022, dalla citata L. n. 199/2022, nuove disposizioni transitorie, che pongono un’eccezione alla regola dello spontaneo attivarsi da parte della persona offesa per manifestare la volontà di querela (cfr. il nuovo testo del comma 2 dell’art. 85 cit.): essendo stata stabilita, infatti, la perdita di efficacia delle “misure cautelari personali in corso di esecuzione… se, entro venti giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, l’autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela”, si è previsto un corrispondente onere di ricerca della persona offesa, ai fini della presentazione della querela, in capo all’autorità giudiziaria (che può avvalersi della polizia giudiziaria a tal fine) esclusivamente rispetto alle ipotesi, nelle quali, per il reato reso procedibile a querela, e per cui si procede, sia stata applicata e sia in esecuzione una misura cautelare.

L’innesto operato in sede di conversione del D.L. n. 162/2022 ha inserito, infine, altre due ulteriori disposizioni transitorie: un nuovo comma 2-bis dell’art. 85, D.Lgs. n. 150/2022 (si stabilisce che durante la pendenza dei termini per presentare la querela si applica l’art. 346 c.p.p. quanto alla validità degli atti compiuti in mancanza di una condizione di procedibilità); un successivo comma 2-ter, ai sensi del quale “per i delitti di cui agli artt. 609-bis, 612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima dell’entrata in vigore del presente decreto, continua a procedersi d’ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto”.

Svolta tale necessaria premessa, vi è da evidenziare come, per quel che rileva in questa sede, il fenomeno della modifica del regime di procedibilità di alcune figure di reato, sovente generato da aspirazioni di tendenziale “deflazione” del carico penale gravante sul sistema giudiziario nel suo complesso, non è inconsueto e, anzi, di recente, ha interessato una serie di fattispecie delittuose, la procedibilità delle quali è stata trasformata da officiosa ad iniziativa di parte e delle quali le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno già avuto modo di occuparsi.

Come noto, infatti, in occasione dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 36 del 10 aprile 2018, è stato affermato che, in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto di discipline normative sopravvenute ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità, l’inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l’avviso previsto per l’eventuale esercizio del diritto di querela (Cass. pen. sez. Unite, n. 40150 del 21/06/2018, S., CED Cass. 273551). All’esito di un’analisi della giurisprudenza di legittimità che ha costruito, nel corso degli anni, il paradigma del rapporto tra inammissibilità e “giudicato sostanziale”, indicando, progressivamente, le eccezioni alla regola del formarsi di quest’ultimo, invalicabile passaggio decisorio (i passaggi fondamentali del percorso ermeneutico disegnato dalle Sezioni Unite si ritrovano, tra tutte, nelle sentenze Cass. pen. sez. Unite, n. 32 del 22/11/2000, dep. 2001, D.L., CED Cass. 217266; Cass. pen. sez. Unite, n. 23428 del 22/3/2005, B., CED Cass. 231164; Cass. pen. sez. Unite, n. 33040 del 26/2/2015, J., CED Cass. 264207; Cass. pen. sez. Un., n. 46653 del 26/06/2015, D.F., CED Cass. 265111; Cass. pen., Sez. Un., n. 47766 del 26/06/2015, B., CED Cass. 265107; Cass. pen., Sez. Unite, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, R., CED Cass. 266818; oggi, alla teoria appena esposta, si aggiunge Cass. pen. sez. Unite, n. 38809 del 31/3/2022, Miraglia, CED Cass. 283689), le Sezioni Unite hanno chiarito che:

a) deve escludersi che la sopravvenienza della procedibilità a querela e, ancor prima, la procedura finalizzata all’eventuale accertamento dell’improcedibilità per mancanza di querela a seguito dell’esito negativo della informativa data alla persona offesa (secondo il meccanismo transitorio per il “recupero” eventuale della potestà della parte privata di richiedere l’esercizio dell’azione penale previsto dalla novella del 2018), possano essere ritenute idonee ad operare come una ipotesi di abolitio criminis (e finalizzazione all’accertamento di abolitio criminis), capace di prevalere sulla inammissibilità del ricorso;

b) la sopravvenuta eventualità della improcedibilità, dovuta all’abbandono del regime di perseguimento di ufficio del reato, non opera come la richiamata ipotesi abrogativa, la quale è destinata ad essere rilevata anche in sede esecutiva, mediante la revoca della sentenza ai sensi dell’art. 673 c.p.p. e per tale ragione – essenzialmente di economia processuale – è stata ritenuta dalla giurisprudenza apprezzabile anche in fase di cognizione ed in presenza di ricorso inammissibile.

È da escludere, infatti, sottolinea la sentenza Salatino, che il giudice dell’esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità, sicché, anche nel giudizio di legittimità, la mancanza di tale condizione viene comunemente trattata come una questione di fatto, soggetta alle regole della autosufficienza del ricorso (Cass. pen. sez. VI, n. 44774 del 08/10/2015, R., CED Cass. 265343) ed ai limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (Cass. pen. sez. III, n. 39188 del 14/10/2010, S., CED Cass. 248568). Pertanto, si conclude, non può dirsi che la declaratoria di inammissibilità del ricorso sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa all’epoca subentrata. Per giungere a tali conclusioni, la sentenza Salatino non ha mancato di osservare – su di un piano più squisitamente dogmatico – come la giurisprudenza di legittimità e la stessa dottrina abbiano accreditato la querela quale “istituto da assimilare a quelli che entrano a comporre il quadro per la determinazione dell’an e del quomodo di applicazione del precetto, ai sensi dell’art. 2, comma 4, c.p. (v., in tema di procedibilità d’ufficio per i reati di violenza sessuale, Cass. pen. sez. V, n. 44390 del 8/06/2015, R., CED Cass. 265999 e Cass. pen. sez. III, n. 2733 del 08/07/1997, F., CED Cass. 209188; in tema di procedibilità a querela introdotta per il reato di cui all’art. 642 c.p., Cass. pen. sez. II, n. 40399 del 24/09/2008, C., CED Cass. 241862), giungendo per via interpretativa, quando non vi ha provveduto il legislatore con una specifica norma transitoria, alla conclusione della applicazione retroattiva dei soli mutamenti favorevoli (sostituzione del regime della procedibilità di ufficio con quello della procedibilità a querela), senza, tuttavia, che possa valere la ben più pregnante regola della cedevolezza del giudicato”.

Le Sezioni Unite – con un’esegesi che si rivela vieppiù utile nell’esame dell’odierna novella normativa, che, come si è anticipato, attraverso l’innesto operato dalla L. n. 199/2022, di conversione del D.L. n. 162/2022, ha eliminato la necessità degli avvisi, da parte dell’autorità giudiziaria, alla persona offesa “potenziale querelante” (salvo che per i procedimenti con misure cautelari personali in atto) – hanno distinto, molto acutamente, il tema della verifica dell’esistenza della condizione di procedibilità, anche a seguito di sopravvenuta procedibilità a querela del reato, da quello della “remissione di querela” inizialmente proposta per reati che prevedevano tale regime non officioso di procedibilità, confrontandosi con le affermazioni di un’altra e importante pronuncia del massimo collegio nomofilattico: Cass. pen. sez. Unite, n. 24246 del 25/02/2004, C., CED Cass. 227681, sentenza incentrata sulla “remissione di querela” che sia intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e sia stata ritualmente accettata. La sentenza Salatino ha precisato che il principio cui è approdata la pronuncia C. – la remissione di querela, nel determinare l’estinzione del reato, prevale su eventuali cause di inammissibilità e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimità, sempre che il ricorso sia stato tempestivamente proposto – trae origine da un inquadramento della remissione della querela non tanto come istituto sostanziale, e per questo assimilabile alle altre cause di estinzione del reato, quanto istituto di natura che si potrebbe definire “ibrida” (sulla querela quale istituto di “natura mista, sostanziale e processuale…, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità”, v., da ultimo, Cass. pen. sez. II, n. 14987 del 9/1/2020, CED Cass. 279197), differente dalle altre cause di estinzione in ragione della sua caratteristica capacità non soltanto di estinguere il diritto punitivo dello Stato, ma di paralizzare la perseguibilità stessa del reato.

Da tale natura ed attitudine consegue la massima estensione da attribuire al termine ultimo per la sua rilevazione, secondo il disposto dell’art. 152, comma 3, c.p., e cioè fino alla condanna irrevocabile in senso formale, che è evenienza processuale sicuramente posteriore e indipendente dal fatto in sé della presentazione di un ricorso inammissibile e utile ai fini in esame, salvo il caso della inammissibilità per tardività. La stessa sentenza C., tuttavia, – come sottolineano le Sezioni Unite nel 2018, per centrare la propria posizione ermeneutica rispetto alla novella in esame ed operando un prezioso confronto – non manca di rilevare, significativamente, che, in caso non di remissione, ma di “mancanza” di una condizione di procedibilità, la problematica appare “davvero non coincidente”.

Rimarcando tale diversità, pertanto, la sentenza Salatino evidenzia come questa si riveli ancor più nelle ipotesi per le quali – come accade anche per le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150/2022 – il confine ampliato utile alla rilevazione della remissione di querela, su un terreno che privilegia il dato cronologico (fino alla condanna irrevocabile e cioè al giudicato formale) su quello dei rapporti processuali validi, in linea generale, per le altre cause di non punibilità (pendenza del processo in ragione della presentazione di un ricorso ammissibile, e quindi mancata formazione del giudicato sostanziale) può valere per registrare gli effetti dell’esercizio (extra-processuale) del diritto potestativo della persona offesa a far cadere la già espressa manifestazione di volontà negoziale; ma non può valere per l’espletamento di un procedimento incidentale a effetto eventuale, quale quello a tutela della persona offesa, volto a verificarne la volontà nell’ottica della presentazione della querela.

Tanto premesso, nel caso in esame, a fronte di un reato di furto aggravato non rientrante, dopo la riforma Cartabia, tra quelli procedibili d’ufficio, la Cassazione ha osservato come, pur nella attuale, parziale diversità normativa tra la novella del 2018 e quella del 2022, derivata dall’eliminazione (fatta salva l’eccezione già richiamata) della necessità di dare avviso, da parte dell’autorità giudiziaria, alla persona offesa, circa il mutato regime di procedibilità, con conseguente previsione di un onere, gravante su quest’ultima, di manifestare, eventualmente, la propria volontà di proporre querela, non vi è dubbio che il nucleo centrale delle affermazioni delle Sezioni Unite Salatino rimanga valido:

a) sia quanto all’affermazione principale secondo cui la sopravvenienza della procedibilità a querela non prevale sulla inammissibilità del ricorso, poiché, a differenza dell’ipotesi di abolitio criminis, non è idonea a incidere sul c.d. “giudicato sostanziale”;

b) sia quanto alla distinzione tra l’ipotesi di “mancanza” della condizione di procedibilità (quale quella che consegue al mancato esercizio del diritto di parte successivo al mutato regime di procedibilità per l’intervento innovativo del legislatore) e quella di “remissione” della querela proposta sin dall’inizio relativamente a reati soggetti a tale regime di procedibilità non officiosa.

Solo in tale ultimo caso, infatti, è possibile riscontrare l’espressa manifestazione di volontà, da parte della vittima del reato o del soggetto legittimato a proporre querela, di recedere da quella “intenzione punitiva” che aveva in precedenza avanzato.

Da qui, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 625 c.p.

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