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La legittimazione alla querela nei delitti di furto e di truffa

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Reati contro il patrimonio

Querela

La legittimazione alla querela nei delitti di furto e di truffa

giovedì 30 marzo 2023

di Conti Irma Avvocato in Roma

Nella sentenza del 17 marzo 2023, n. 11478, la Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso presentato in favore dell’imputato, ha ribadito i principi dettati, anche a sezioni unite, dalla giurisprudenza di legittimità in tema di legittimazione a presentare querela nei delitti di furto e di truffa. Un orientamento che rigetta tesi particolarmente restrittive su un rapporto qualificato (proprietà, o altro diritto reale di godimento) tra il querelante e il bene in favore del mero dato del possesso e che, pertanto, comporta la legittimazione attiva alla presentazione della querela anche del dipendente di un esercizio commerciale che sta subendo una truffa, in quanto in quel frangente egli assume la responsabilità in prima persona dell’attività del negozio ed è la prima persona che può assicurare una tutela al bene giuridico tutelato dalla norma.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza 17 marzo 2023, n. 11478

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. Unite, 18/07/2013, n. 40354

Cass. pen. sez. II, 04/10/2016, n. 50725

Difformi Non si rinvengono precedenti in termini

La sentenza in commento rafforza i principi dettati dalla Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, sul diritto a sporgere querela nei delitti di truffa e di furto.

In particolare, la Corte aderisce all’orientamento ormai largamente maggioritario che non ritiene che la legittimazione alla presentazione della querela per questo genere di fattispecie debba essere rimessa soltanto in capo a chi è il proprietario o il titolare di un diritto reale di godimento sul bene, né che debba discendere da una formale attribuzione di poteri di rappresentanza.

E ciò in quanto il bene giuridico tutelato dagli artt. 624 e 640 c.p. è il patrimonio di chi subisce una deminutio, indipendentemente dalla titolarità del bene di cui si gode.

Il caso trattato dalla Corte riguarda Tizia che, spacciandosi per una cliente di un ristorante, ha chiesto di accomodarsi ad un tavolo prospiciente ad un altro occupato da alcuni commensali.

Pur consumando un pasto, che non ha pagato non avendone mai avuto intenzione, Tizia è entrata nel ristorante col solo fine di derubare gli altri avventori.

E infatti, approfittando della vicinanza all’altro tavolo, Tizia ha prelevato dalla borsa dell’avventrice V. un telefono cellulare, un libretto di deposito e un portafogli.

Una volta uscita dal locale, ha sostituito con una propria foto quella di V. presente sul documento di identità, si è recata presso un centro commerciale dove era presente una filiale dell’ente che ha emesso il libretto e ha chiesto di prelevare una somma di denaro depositata attraverso tale strumento, esibendo il documento di identità contraffatto.

Essendo già stata diffusa la notizia della sottrazione di un libretto di deposito, l’impiegata dell’esercizio ha provveduto a bloccare l’operazione.

Hanno presentato querela tanto l’avventrice del ristorante, quanto la caporeparto del centro commerciale M. e Tizia è stata condannata per i reati di furto, insolvenza fraudolenta, fabbricazione di documento di identità falso e truffa tentata.

La sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello e avverso tale decisione è stato proposto ricorso per Cassazione nel quale è stata sostenuta la grossolanità del falso e il difetto di querela in relazione alla tentata truffa, in quanto la persona offesa del delitto di truffa sarebbe l’istituto, e quindi né l’avventrice del locale V., né la mera dipendente M., sprovvista di procura con poteri di rappresentanza legale, avrebbero potuto proporre validamente querela.

Il primo motivo è stato rigettato in quanto è stato osservato che il falso della sostituzione della foto sul documento di identità non poteva essere ritenuto grossolano, in quanto lo è solo quello rilevabile ictu oculi da chiunque, mentre nel caso di specie i dipendenti dello sportello hanno avuto cognizione del falso solo in considerazione della segnalazione della sottrazione del libretto.

Per quanto attiene alla questione principale, invece, la Corte ha ritenuto inammissibile il motivo sul difetto di querela con riferimento alla tentata truffa, in quanto la giurisprudenza di legittimità, sia in tema di furto che di truffa, ha ormai respinto un orientamento estremamente restrittivo sul rapporto che lega il querelante al bene giuridico tutelato dalla norma.

In particolare, nella sentenza in commento, la Corte ha concluso affermando che “la Corte di appello, invero, ha correttamente rilevato che: la V. rivestiva sicuramente il ruolo di persona offesa, atteso che la consumazione del reato avrebbe determinato immediatamente la diminuzione del suo patrimonio; avendo la V. presentato querela, sussisteva la necessaria condizione di procedibilità. Sotto altro profilo, ha ritenuto rilevante al fine della procedibilità anche la querela presentata dalla caporeparto M., in quanto titolare di una relazione di fatto con la cosa, che ne comportava un autonomo potere di custodia e gestione”.

A sostegno di tale conclusione, la Corte di Cassazione, correttamente, ha osservato che le fattispecie di truffa e di furto non sono poste a tutela solo di chi abbia un diritto di proprietà sulla res, o il titolare di altro diritto di godimento, ma si va a tutelare un possesso che non deve essere ricondotto alle strette maglie interpretative dell’art. 1140 c.c. Al contrario, tale possesso deve essere inteso come detenzione a qualsiasi titolo, come mera relazione di fatto con la res, indipendentemente dalla sua origine.

In tal senso, non è quindi necessario che il detentore abbia poteri di rappresentanza del proprietario della cosa, perché il diritto di querela non spetta solo a quest’ultimo.

In tal senso, pertanto, la pronuncia in commento si pone in stretto rapporto di continuità con quanto statuito dalle Sezioni Unite (Cass. pen. sez. Unite, n. 40354 del 18/07/2013) secondo le quali “il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela”.

Nella sentenza delle Sezioni Unite, nella quale la Corte ha anche escluso che il mero occultamento della merce sottratta da un supermercato sia idoneo ad integrare l’aggravante del mezzo fraudolento, è stato infatti osservato a sostegno del principio sopra riportato che “da quanto esposto si trae una conclusione univoca. La fattispecie protegge ad un tempo la detenzione qualificata, nonché la proprietà e le altre situazioni giuridiche cui si è già ripetutamente fatto cenno. Tale duplicità viene in evidenza, per quel che qui interessa, quando situazioni giuridiche soggettive e situazioni fattuali fanno capo a diverse persone. In tal caso, la lesione del bene giuridico è duplice: proprietario e possessore in senso penalistico sono persone offese e legittimate a proporre querela.

La distinzione in questione non è per nulla formale: come si è ripetutamente esposto, vi sono situazioni nelle quali gli interessi e le relazioni che si trovano nella multiforme fenomenologia sono scomposti e si configurano in capo a diversi soggetti. In conseguenza disconoscere la posizione di uno dei soggetti lesi, non riconoscergli la legittimazione a promuovere la protezione penale, risulterebbe riduttivo e privo di giustificazione razionale”.

Alla luce di tali coordinate dogmatiche, è stata senz’altro corretta la decisione della Corte di Appello in quanto, ovviamente, i medesimi princìpi attinenti al reato di furto, sono applicabili anche alla truffa, come del resto confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità più specifica, secondo la quale il diritto di querela per il delitto di truffa spetta, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza, anche all’addetto di un esercizio commerciale che si sia personalmente occupato della transazione commerciale con cui si è consumato il reato, assumendo egli, in quel frangente, la responsabilità in prima persona dell’attività del negozio e rivestendo pertanto la titolarità di fatto dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice (Cass. pen. sez. II, n. 50725 del 04/10/2016).

In conclusione, in considerazione delle riflessioni operate sul bene giuridico dell’art. 640 c.p. e sulle modalità di tutela ad esso accordate e sulla mera necessità che il querelante sia titolare di una posizione di detenzione del bene, la querela presentata dal dipendente di un esercizio commerciale sprovvisto di specifici poteri di rappresentanza legale, risulta essere assolutamente legittima.

Riferimenti normativi:

Art. 624 c.p.

Art. 640 c.p.

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