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In G.U. la Legge eco-vandali: pene più severe per chi imbratta o deturpa beni culturali e paesaggistici

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Penale

Tutela dei beni culturali

In G.U. la Legge eco-vandali: pene più severe per chi imbratta o deturpa beni culturali e paesaggistici

giovedì 25 gennaio 2024
di Crimi Francesco Avvocato Specialista in diritto penale in Torino
Il presente contributo esamina il contenuto della L. 22 gennaio 2024, n. 6 (G.U. n. 19 del 24 gennaio 2024) volta a contrastare i fenomeni vandalici connessi alle eco-proteste e che apporta non solo un restyling normativo di alcune preesistenti fattispecie incriminatrici, ma introduce anche nuovi illeciti amministrativi sanzionati pesantemente e concorrenti (nonché coordinate) con l’apparato sanzionatorio penale già operante.

  1. 22 gennaio 2024, n. 6 – G.U. n. 19 del 24 gennaio 2024

    Il presente contributo intende svolgere alcune preliminari considerazioni con riferimento alla L. 22 gennaio 2024, n. 6 recante “Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici e modifiche agli articoli 518- duodecies, 635 e 639 del codice penale”.

Il testo di legge in commento si struttura in quattro articoli.

La prima doverosa considerazione deve svolgersi con riferimento alla clausola di salvezza che caratterizza l’esordio precettivo dell’art. 1 laddove, ai commi primo e secondo, si puniscono rispettivamente le condotte di “chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o, ove previsto non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui” (prevedendo pesanti sanzioni pecuniarie amministrative: da euro 20.000 a euro 60.000) e “chiunque deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina i beni culturali ad un uso pregiudizievole per la loro conservazione o integrità ovvero ad un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico” (accordando la altrettanto pensante sanzione amministrativa pecuniaria amministrativa compresa tra euro 10.000 ed euro 40.000).

La norma, infatti, nel tipizzare tali illeciti amministrativi al contempo fa “salve le sanzioni penali applicabili a fronte di tali condotte criminose”.

Dunque, il medesimo fatto può detonare una duplice risposta sanzionatoria, ad un tempo di carattere amministrativistico e penale.

Per il vero, il legislatore, evidentemente anticipando le censure in tema di inammissibilità di una qualificazione giuridica multipla del fatto, prevede un meccanismo compensativo tra sanzioni amministrative e penali: al comma settimo dell’articolo in disamina, infatti, si stabilisce che quando per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del reo o dell’autore della violazione, la sanzione amministrativa pecuniaria indicata ai commi primo e secondo ovvero una sanzione penale l’autorità giudiziaria e l’autorità amministrativa tengono conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate [lett. a)]; nonché si stabilisce che l’esazione della pena pecuniaria ovvero della sanzione pecuniaria amministrativa è limitata alla parte eccedente quella riscossa, rispettivamente, dall’autorità amministrativa ovvero da quella giudiziaria [lett. b)].

Tale previsione normativa consente di temperare il rigore afflittivo derivante dal cumulo sanzionatorio, imponendo all’autorità (giudiziaria o amministrativa) che si pronuncia per seconda, di tenere conto al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate.

Sul punto occorre considerare che la norma si pone in linea con l’orientamento esegetico oramai consolidato e a parere del quale il c.d. cumulo sanzionatorio non trova un limite nel principio del ne bis in idem processuale di cui all’art. 649 c.p.p. e art. 4, p.1, del VII Protocollo addizionale della CEDU nonché di cui all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE: alla luce della giurisprudenza sovranazionale granitica, infatti, il principio del ne bis in idem processuale opera solo quando con riferimento al medesimo fatto vengano applicate plurime sanzioni penali ovvero sanzioni amministrative che, sulla scorta degli indici elaborati dalla stessa giurisprudenza CEDU, risultino sostanzialmente penali (sul punto si richiama la sentenza resa dalla Corte EDU nel caso Grande Stevens v. Italia del 2014, la quale ha sancito l’incompatibilità con l’art. 4 del VII Protocollo addizionale della CEDU dei sistemi a doppio binario sanzionatorio, in presenza dell’idem factum e nel caso in cui la sanzione formalmente amministrativa fosse da considerarsi avente natura penale).

In conclusione, la previsione normativa oggetto del presente contributo non solo risulta ben congegnata in quanto in linea con i parametri nomologici e giurisprudenziali elaborati dalla Corte EDU in tema di rispetto del principio del ne bis in idem processuale, ma si pone altresì in linea con la disciplina del concorso tra illecito penale ed illecito amministrativo di cui all’art. 9, comma 1, della L. 24 novembre 1981, n. 689, a mente del quale nel caso in cui uno stesso fatto risulti punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative opererà il principio di specialità.

Proseguendo oltre la norma stabilisce che l’irrogazione della sanzione pecuniaria amministrativa è appannaggio del Prefetto del luogo in cui è stata commessa la violazione, il quale deve procedere con la notificazione del verbale di contestazione al trasgressore entro 120 giorni dal giorno in cui il fatto è commesso.

Dalla notificazione del verbale di contestazione il trasgressore, salvo che se ne sia già avvalso nei cinque anni precedenti, è ammesso al pagamento della sanzione in misura ridotta.

I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate ai sensi dei commi primo e secondo sono versati ad apposito capitolo del bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnati al Ministero della cultura affinché siano impiegati prioritariamente per il ripristino dei beni.

Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro della cultura, sono poi definite le modalità di destinazione e gestione dei proventi delle sanzioni amministrative di cui ai commi primo e secondo.

L’art. 2 apporta una modifica al protocollo di tipicità della fattispecie delineato all’art. 518-duodecies c.p. restringendone il perimetro di operatività, nella parte in cui punisce la condotta di chi rende il bene culturale o paesaggistico non fruibile alla sola ipotesi in cui la fruibilità sia prevista.

L’articolo 3, invece, interviene sulla previsione di cui al terzo comma dell’art. 635 c.p., affiancando alla pena detentiva (già prevista) della reclusione da uno a cinque anni quella della multa fino a 10.000 euro.

L’articolo 4, infine, modifica l’articolo 639 c.p. elevando fino a euro 309 la multa irrogabile nelle ipotesi criminose normativizzate al primo comma, nonché introducendo una fattispecie aggravata e sanzionata con pene raddoppiate a carico di chi, al di fuori dei casi previsti dall’articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico.

Da ultimo l’art. 635 c.p. amplia il suo bacino di operatività prevedendo la reclusione da mesi uno a mesi sei o, in alternativa, la multa da euro 300 a euro 1.000 per coloro che deturpano o imbrattano teche, custodie e altre strutture adibite alla esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico.

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