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Inammissibile la richiesta di messa alla prova in appello se il reato non rientra tra quelli indicati della Cartabia

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Processo penale

Inammissibile la richiesta di messa alla prova in appello se il reato non rientra tra quelli indicati della Cartabia

venerdì 19 gennaio 2024

di Villa Federico Avvocato in Bergamo

La IV Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza 9 febbraio 2024, n. 657 affronta la questione della richiesta di sospensione del procedimento penale, avanzata per la prima volta in appello, per un reato per il quale, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022, doveva essere richiesto il beneficio nel giudizio di primo grado. Con la pronuncia i Giudici di Legittimità stabiliscono che lo spiraglio introdotto dal Legislatore con la riforma Cartabia è limitato solo ed esclusivamente alle ipotesi ampliate dalla riforma; in tutti gli altri casi, invece, la Riforma non opera e la richiesta di sospensione deve essere avanzata nei termini ordinari stabiliti dal codice di rito.

Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 9 gennaio 2024, n. 657

I fatti

La questione sottoposta all’attenzione della IV Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione riguarda la richiesta di sospensione del procedimento penale avanzata per la prima volta nel giudizio di secondo grado, dinnanzi alla Corte d’Appello, per un reato per il quale già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia) poteva essere richiesto il beneficio.

Questi i fatti: l’imputato veniva tratto a giudizio per aver cagionato un sinistro stradale mentre si trovava alla guida in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l).

A seguito del processo di primo grado, l’imputato veniva ritenuto responsabile e condannato di 8 mesi di arresto ed euro 2.000,00 di ammenda, con riconoscimento della sospensione condizionale della pena e la non menzione nel casellario giudiziale.

La sentenza di condanna veniva impugnata avanti alla Corte d’Appello di Bologna la quale rigettava la richiesta di sospensione del procedimento penale per messa alla prova, avanzata per la prima volta all’udienza indicata nel decreto di citazione, e confermava la sentenza di primo grado.

Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo violazione di legge ed erronea applicazione degli articoli 186-bis, art 186-ter e art 186-quater c.p.c. per aver la Corte di merito rigettato la richiesta di sospensione per messa alla prova.

Gli istituti giuridici della sospensione condizionale e della sospensione del procedimento per messa alla prova

La pronuncia qui annotata offre considerazioni giuridiche interessanti in merito a un istituto giuridico di primo rilievo per l’imputato.

La sospensione del procedimento per messa alla prova, istituto giuridico già conosciuto nel processo penale a carico di imputati minorenni (art. 28D.P.R. n. 448/1988), è stata introdotta per i maggiorenni con la L. n. 67/2014.

La ragione giustificatrice va individuata nel favore per la risocializzazione del condannato, in via alternativa e preferibile rispetto alla sottoposizione dello stesso a pena. In sintesi, la concessione di tale istituto tende all’eliminazione completa delle tendenze antisociali del reo, invitandolo al ravvedimento e al virtuoso reinserimento nella società.

I presupposti applicativi dell’istituto si ricavano dal combinato disposto di una disposizione penale e di una processuale. Quanto ai limiti oggettivi, l’imputato può richiedere la sospensione del processo:

1) per i reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria;

2) per i reati puniti con pena edittale detentiva fino a quattro anni nel massimo, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria (si segnala, sul punto, Cass. pen., Sez. Un., sentenza 31/3/2016, con la quale si è stabilito che nel computo non si tengono in considerazione le circostanze aggravanti comuni, speciali o a effetto speciale);

3) per i reati di cui all’art. 550, comma 2 c.p.p., oggetto di ampliamento con la recente riforma Cartabia.

La sospensione non può essere concessa più di una volta (art. 168-bis, comma 4 c.p.) e incontra limiti soggettivi in quanto non si applica ai delinquenti abitali, professionali o per tendenza.

Dal punto di vista processuale, la richiesta di sospensione per messa alla prova costituisce un procedimento speciale. L’art. 464-bis, comma 2 c.p.p. prescrive che la richiesta può essere avanzata oralmente o per iscritto, a pena di decadenza, entro determinati termini:

1) nell’udienza preliminare fino a che non siano formulate le conclusioni di cui agli artt. 421 e 422 c.p.p. ovvero fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo;

2) in caso di decreto di citazione diretta a giudizio, fino alla conclusione dell’udienza predibattimentale di cui all’art. 554-bis c.p.p.;

3) in caso di decreto di giudizio immediato, nei termini e nelle modalità di cui all’art. 458, comma 1 c.p.p.;

4) in caso di decreto penale, con l’atto di opposizione.

L’esito positivo della messa alla prova estingue il reato a seguito dello svolgimento positivo dei lavori di pubblica utilità e dell’osservazione puntuale di quelle che sono le prescrizioni del giudice impartite con l’approvazione del programma elaborato dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna.

La richiesta di messa alla prova per la prima volta in appello

Tratteggiato l’istituto nei termini sintetici di cui sopra, occorre ora soffermarsi sull’interessante pronuncia resa dalla IV Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, qui annotata.

Con tale provvedimento, i Giudici di Legittimità ricordano che la richiesta deve essere avanzata, a pena di decadenza, entro e non oltre i termini perentori indicati dal codice di procedura penale all’art. 464-bis cpp, comma 2. L’inosservanza di questi termini comporta la declaratoria di inammissibilità della istanza di sospensione del procedimento per messa alla prova.

Quid iuris nel caso in cui la richiesta venga avanzata per la prima volta in appello?

La risposta non è affatto scontata, oltre che caratterizzata da evidente interesse pratico, se solo si pone l’attenzione alla recente entrata in vigore della riforma Cartabia con D.Lgs. n. 150/2022 la quale, come ricordato sopra, ha ampliato il catalogo di reati di cui all’art. 550, comma 2 c.p.p., anche oltre i limiti edittali stabiliti dall’art. 168-bis c.p.

L’art. 90, comma 1 del D.Lgs. n. 150/2022 prevede infatti al comma 1 che 1 “[…] l’estensione della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova a ulteriori reati, si applica anche ai procedimenti pendenti nel giudizio di primo grado e in grado di appello alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”.

Al comma 2 viene poi precisato che “se sono già decorsi i termini di cui all’articolo 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale, l’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, può formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, a pena di decadenza, entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto. Quando nei quarantacinque giorni successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto non è fissata udienza, la richiesta è depositata in cancelleria, a pena di decadenza, entro il predetto termine”.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 657/2024, sulla base delle disposizioni anzi richiamate, giunge alla conclusione che “la riapertura dei termini per richiedere la messa alla prova in pendenza di procedimento innanzi alla Corte d’Appello, all’indomani dell’entrata in vigore della riforma, deve intendersi limitata ai casi interessati dall’ampliamento”.

Sulla base di questo principio giuridico, la Corte di Cassazione ha stabilito che lo spiraglio per richiedere la sospensione del procedimento penale per messa alla prova oltre i termini di cui all’art. 464-bis, comma 2 c.p.p. è limitato solo ai giudizi pendenti in secondo grado che sono relativi alle ipotesi ampliate dalla Riforma, ossia di applicabilità dell’istituto prima non prevista.

Diversamente, come nella fattispecie sottoposta all’attenzione della Suprema Corte, nei casi di processi pendenti per quei reati che già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2011 rientravano nei limiti edittali di ammissione del beneficio, la domanda non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di secondo grado.

Pertanto, sulla scorta del principio di cui poco sopra, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, pur tacciando come non corrette le motivazioni rese dalla Corte d’Appello di Bologna che aveva respinto la richiesta di messa alla prova in quanto era stata concessa in primo grado la sospensione condizionale della pena.

Il principio di diritto

Dalla sentenza qui annotata si trae il seguente principio di diritto: “la riapertura dei termini per richiedere la messa alla prova in pendenza di procedimento innanzi alla Corte d’Appello, all’indomani dell’entrata in vigore della riforma, deve intendersi limitata ai casi interessati dall’ampliamento”.

Di converso, se il reato per cui si procede nel giudizio di appello non fosse ricompreso, prima dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia nel catalogo di cui all’art. 550, comma 2 c.p.p., l’imputato, nelle forme stabilite e nei termini prescritti, può legittimamente avanzare richiesta di sospensione del procedimento penale con messa alla prova, ottenendo, in caso di esito positivo, l’estinzione del reato.

Riferimenti normativi:

Art. 464-bis, comma 2 c.p.p.

Art. 90, comma 1, D.Lgs. n. 150/2022

Art. 90, comma 2, D.Lgs. n. 150/2022

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