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Dichiarazione/elezione di domicilio per impugnare: sezione di Cassazione che vai, risposta che trovi

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Procedura penale

Impugnazioni

Dichiarazione/elezione di domicilio per impugnare: sezione di Cassazione che vai, risposta che trovi

mercoledì 06 marzo 2024

di Cecchi Marco Docente a contratto in Scienze giuridiche della sicurezza e Assegnista di ricerca in Filosofia del diritto

È ondivaga la giurisprudenza di legittimità sulla portata applicativa dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p. Da ultimo, e qui attenzionate, si intervallano due pronunce di legittimità di segno opposto sulla medesima questione: è necessario, oppure no, (ri)dichiarare o (ri)eleggere domicilio, ai fini dell’impugnazione, se in atti è già presente una valida e sempre attuale dichiarazione o elezione domiciliare? Cassazione penale, Sez. V, 24 gennaio 2024, n. 3118 risponde affermativamente; Cassazione penale, Sez. II, 22 febbraio 2024, n. 8014, viceversa, risponde negativamente.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza 24 gennaio 2024, n. 3118
Cassazione penale, Sez. II, sentenza 22 febbraio 2024, n. 8014

La sentenza della Cassazione penale n. 3118/2024

In sede d’appello, viene dichiarata l’inammissibilità ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter c.p.p. perché non è stato dichiarato/eletto domicilio dopo la pronuncia della sentenza impugnata, ma è stata semplicemente allegata l’elezione domiciliare effettuata al momento della convalida dell’arresto.

La Suprema Corte ritiene manifestamente infondato – e quindi non ammissibile – il ricorso, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

I giudici di legittimità richiamano la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150/2022 e il testo dei novellati artt. 157-ter, comma 3 e 164 c.p.p., al fine di affermare che la dichiarazione/elezione già presente in atti non ha più – come ieri – “validità illimitata”, salvo la comunicazione di eventuali variazioni o modifiche. Oggi, “è necessario che l’interessato [cioè, il soggetto che intende impugnare la pronuncia di primo grado] fornisca nuovamente, anche nell’ipotesi in cui lo abbia già fatto in precedenza, la indicazione di un domicilio dichiarato o eletto”.

Tale interpretazione s’impone, secondo gli Ermellini, per soddisfare “l’esigenza – sottesa alla ratio della norma[tiva riformata] – della necessaria e certa conoscenza del processo di impugnazione [v. art. 164 c.p.p. e disciplina del processo in absentia] e della tempestiva notifica dell’atto introduttivo del nuovo giudizio [v. artt. 157-ter e 601 c.p.p.]”. In questa prospettiva, “il ‘sacrificio’ richiesto all’appellante del deposito di una nuova dichiarazione/elezione di domicilio non appare irragionevole e/o ingiustificato”, alla luce dei parametri indicati dalla Consulta di non “manifesta irragionevolezza e arbitrarietà delle scelte compiute” (Corte cost., ord. 141/2001 e Corte cost. sentt. nn. 1130/1988, 221/2008, 50/2010, 229/2010, 17/2011, 71/2015, 212/2020). Questo “onere collaborativo”, previsto come adempimento ineludibile in capo a chi appella, è da ritenersi costituzionalmente legittimo poiché finalizzato a garantire

1) la certa conoscenza della celebrazione del giudizio di seconde cure,

2) la partecipazione consapevole dell’imputato al processo,

3) la tempestiva notifica del d.c.g., assicurata dalla “attualizzazione” – a fronte “del tempo trascorso” – “dell’efficacia della prima elezione o dichiarazione di domicilio” (v. Cass. pen., Sez. V, 21/11/2023, n. 46831).

La sentenza della Cassazione penale n. 8014/2024

In sede d’appello, viene dichiarata l’inammissibilità ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter c.p.p., perché non è stato dichiarato/eletto domicilio dopo la pronuncia della sentenza impugnata ma è stata semplicemente allegata l’elezione domiciliare già presente in atti, contenuta nella procura speciale antecedente all’emissione del decisum di primo grado.

La Suprema Corte ritiene stavolta fondato il ricorso, stimando “erronea [l’]interpretazione del nuovo art. 581, comma 1-ter c.p.p.” fornita dai giudici di seconde cure; conseguentemente, annulla senza rinvio l’ordinanza contestata e trasmette gli atti all’autorità competente per l’ulteriore corso.

In particolare, gli Ermellini premettono di aver “già avuto modo di pronunziarsi diverse volte in ordine all’interpretazione dell’art. 581, comma 1-terc.p.p.” e di essere ben “consapevol[i] che altro recente arresto ([quello citato sopra:] Cass., Sez. V, 10.01.2024, n. 3118) ha ritenuto necessario […] che con l’appello venga depositata anche la dichiarazione o l’elezione effettuata dopo la sentenza impugnata; ma non condivid[ono] tale interpretazione ché non poggia su argomenti convincenti”.

Invero, dall’ordito normativo “non emerge la specifica previsione che si debba allegare la procura a impugnare, ma solo che sia depositata la dichiarazione o l’elezione di domicilio”. Non vi è, così si scrive a chiare lettere in motivazione, “alcun esplicito riferimento alla necessità che la dichiarazione o l’elezione allegata all’impugnazione sia stata rilasciata dopo la pronunzia della sentenza di primo grado. Anche il novellato art. 164 c.p.p., la cui attuale rubrica è ‘Efficacia della dichiarazione e dell’elezione di domicilio’, non sembra giustificare l’interpretazione estensiva dell’art. 581, comma 1-ter c.p.p. [Anzi,] sembra preferibile ritenere che la nuova formulazione dell’art. 164 c.p.p. voglia limitare l’efficacia dell’elezione o della dichiarazione di domicilio agli atti introduttivi del giudizio di cognizione anche in appello e all’imputato libero, con esclusione dei giudizi cautelari e dell’imputato detenuto”.

Inoltre, tenuto conto del principio di tassatività delle invalidità processuali e leggendo la normativa tanto tramite l’interpretazione letterale quanto attraverso l’interpretazioneteleologica (secondo cui “l’onere imposto dall’art. 581, comma 1-terc.p.p. è previsto per agevolare la vocatio in iudicium e non per garantire la consapevolezza da parte dell’imputato di impugnare la decisione di primo grado, al quale il predetto ha partecipato”), si perviene alla conclusione che è “sufficiente depositare la dichiarazione o l’elezione di domicilio effettuata nel corso del procedimento, anche se in epoca precedente alla sentenza di primo grado e nella fase delle indagini preliminari”.

E allora, in conformità a quanto peraltro sostenuto da una parte della dottrina proprio su questo punto (v., ad es., Ceresa-Gastaldo, L’impugnazione inammissibile tra selezioni arbitrarie e vuoti formalismi, in Aa.Vv., Commenti alla legge n. 134 del 2021 e ai decreti legislativi delegati – vol. III, L’ennesima riforma delle impugnazioni fra aspettative deluse e profili controversi, (a cura di) M. Bargis – H. Belluta, Torino, 2023, 25), l’operatività dell’art. 581, comma 1-ter c.p.p. è da considerarsi limitata alle ipotesi in cui l’informazione domiciliare non sia stata già validamente fornita dalla parte: cioè, quando “l’imputato presente non ha prima dell’impugnazione dichiarato o eletto domicilio” oppure quando ha “effettuato diverse dichiarazioni o elezioni di domicilio, nel qual caso sul difensore appellante grava l’onere di effettuare la verifica e depositare – con l’impugnazione – la dichiarazione o l’elezione di domicilio che la cancelleria utilizzerà per la citazione”.

In definitiva, dunque, “la dichiarazione o l’elezione di domicilio richiesta ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio di appello va rilasciata, ai sensi dell’art. 581, comma 1-quater c.p.p. dopo la pronuncia della sentenza impugnanda soltanto nel caso in cui, nel grado precedente, nei confronti dell’imputato si sia proceduto in absentia”. Solamente in quest’evenienza è indispensabile “verificare la reale conoscenza da parte dell’imputato, che non ha partecipato al giudizio, della pendenza e dell’esito del processo e la [sua] effettiva volontà di impugnare la sentenza”. Una diversa interpretazione, per la sezione V della Cassazione, “ostacolerebbe indebitamente l’accesso a un giudizio di impugnazione, in violazione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti”.

La necessità di una presa di posizione (legislativa o pretoria) stabile

Si rivela auspicabile – di più: necessario – che l’applicazione dell’art. 581 c.p.p. si stabilizzi.

In tal senso, la questione applicativa può essere chiarita o direttamente dal legislatore, con un’interpretazione autentica, o dalle Sezioni unite della Cassazione, con una pronuncia dotata della forza ‘vincolante’ di cui al comma 1-bis dell’art. 618 c.p.p. La prima opzione, quella politico-legislativa, appare preferibile secondo chi scrive: non soltanto per ragioni legate al corretto equilibrio tra i poteri dello Stato (cfr. artt. 25 e 101 Cost.), ma altresì considerato che l’occasione per intervenire immediatamente in materia – e senza che debbano verificarsi ulteriori, rapsodici e ingiustificati episodi di disuguaglianza trattamentale a livello pretorio – è già data dall’art. 1, comma 4 L. n. 134/2021. E, in effetti, pare ci si stia muovendo esattamente in tal senso: v., per quanto qui d’interesse, il D.D.L. S.808 – ora al vaglio della Camera (C. 1718) – che prevede addirittura (e più drasticamente ancora rispetto a una sua stabilizzazione interpretativo-applicativa) l’abrogazione del comma 1-ter dell’art. 581 c.p.p.

Riferimenti normativi:

Art. 157-ter c.p.p.

Art. 161 c.p.p.

Art. 164 c.p.p.

Art. 581 c.p.p.

Art. 601 c.p.p.

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