Reati contro il patrimonio
Reati contro il patrimonio
Il delitto di estorsione da parte del datore presuppone l’esistenza di un rapporto lavorativo
lunedì 04 marzo 2024
di Crimi Francesco Avvocato Specialista in diritto penale in Torino
La sentenza della Cassazione penale, Sez. II, 16 febbraio 2024, n. 7128 in commento esamina le possibili modalità di atteggiarsi del delitto di estorsione di cui all’art. 629 c.p. nell’ambito di un rapporto di lavoro. Il Giudice di legittimità premette che il datore di lavoro bene può approfittarsi del contesto socio-economico e delle riflesse aspettative di lavoro del contraente debole per comprimere la capacità dello stesso di scegliere liberamente se concludere o meno il contratto di lavoro ovvero di protrarne l’esecuzione. Tuttavia, una ricostruzione ossequiosa del principio di tassatività-determinatezza della fattispecie penale porta a individuare il limen discriminationis tra condotte coartanti rilevanti ai sensi dell’art. 629 c.p. e condotte pur discutibili ma penalmente neutre nello stato della fenomenologia negoziale: occorrerà, dunque, verificare se la condotta della parte contrattuale forte (id est il datore di lavoro) si realizzi nel corso delle trattative precontrattuali ovvero in fase di esecuzione del rapporto di lavoro già instaurato (in maniera conforme ai tipi legali ammessi dall’ordinamento o anche meramente in via di fatto). Fatta tale necessaria e ineludibile precisazione la sentenza in commento aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale a mente del quale la condotta del datore di lavoro che, nell’ambito di un rapporto di lavoro in itinere e dunque già instaurato, costringe il lavoratore ad accettare condizioni peggiorative sotto la minaccia del licenziamento o imponendo le dimissioni forzate integra il protocollo di tipicità di tale figura delicti; e ciò, come detto, in ragione dell’esistenza del rapporto di lavoro in corso.
Cassazione penale, Sez. II, sentenza 16 febbraio 2024, n. 7128
A parere di chi scrive risulta pienamente condivisibile e apprezzabile la ricognizione strutturale svolta dal Giudice della Nomofilachia con riferimento al delitto di estorsione e la conseguente soluzione ermeneutica sposata, in quanto rispettosa dei principi di tassatività-determinatezza della fattispecie incriminatrice.
Sul punto il Giudice di legittimità premette che il datore di lavoro bene può approfittarsi del contesto socio-economico e delle riflesse aspettative di lavoro del contraente debole per comprimere la capacità dello stesso di scegliere liberamente se concludere o meno il contratto di lavoro ovvero di protrarne l’esecuzione.
Tuttavia, non sempre e in ogni caso tale condotta di approfittamento, ancorché veicolata da minacce e posta in essere abusando della situazione di contraente forte, assume la patente di tipicità penale ai sensi dell’art. 629 c.p.
Ed in effetti nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, al fine di costringere chi è già un dipendente ad accettare modifiche peggiorative del rapporto di lavoro (dunque, nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro risulti in itinere), prospetti alla vittima la conseguenza – in caso di rifiuto delle condizioni contrattuali imposte – dell’interruzione del rapporto di lavoro mediante licenziamento o dimissioni forzate la condotta integrerà i requisiti di materialità del delitto di estorsione (a seconda dei casi, tentata o consumata): l’utilizzo del contratto in essere quale strumento di coercizione della volontà del lavoratore al fine di conseguire risultati illeciti integra, infatti, la modalità di lesione della minaccia; non solo, ma al profitto del datore di lavoro (consistente nell’ottenimento delle prestazioni lavorative a fronte di un evidente risparmio di spesa) fa da pendant il correlativo danno per la vittima, privata di diritti già acquisiti per effetto della conclusione del contratto di lavoro.
Per contro, nell’ipotesi in cui, in fase precontrattuale, il (potenziale) datore di lavoro prospetti ad un aspirante dipendente l’alternativa tra rinuncia, anche parziale, alla retribuzione o ad altre prestazioni pur riconosciute e garantite dall’ordinamento giuridico (nello specifico, dalla contrattazione collettiva di settore) e la perdita dell’opportunità lavorativa, difetteranno diversi requisiti strutturali che vanno a comporre il protocollo di tipicità oggettiva del delitto di estorsione.
Anzitutto nella fase precontrattuale finalizzata alla assunzione del lavoratore l’alternativa prospettata dal datore di lavoro non integra la modalità della lesione della vis psichica necessaria per detonare il modulo di incriminazione di cui all’art. 629 c.p.
D’altro canto, la perdita dell’opportunità lavorativa non riveste rilievo ai fini della integrazione della figura delittuosa in esame, dal momento che prima della conclusione del contratto di lavoro non è configurabile, come sostenuto dai Giudici di legittimità, un diritto dell’aspirante lavoratore a essere assunto a determinate condizioni; e ciò, considera pur sempre la Suprema Corte di cassazione, anche in ragione della mancata previsione normativa di livelli minimi salariali e data la non configurabilità di una situazione di diritto soggettivo in favore del lavoratore subordinato alla parità di trattamento.
Dunque, pur sempre sul piano della materialità del reato difetta il requisito dell’altrui danno, in considerazione della circostanza che la condizione di disoccupazione del lavoratore preesiste rispetto alla condotta del potenziale datore di lavoro.
In conclusione, il discrimine tra il reato di estorsione e quella che la Corte definisce una condizione «opportunistica di ricerca di forza lavoro tra soggetti in attesa di occupazione» è l’esistenza o meno di un rapporto di lavoro già in atto.
Ovviamente non sarà necessario che il rapporto di lavoro esistente risulti corrispondente ai tipi legali previsti dall’ordinamento, potendosi trattare di un mero rapporto lavorativo di fatto non sorretto da una forma contrattuale valida.
La Corte di cassazione, dunque, fatte le essenziali precisazioni di cui sopra, circa l’esistenza o meno di un rapporto di lavoro al momento della realizzazione della condotta del datore di lavoro, ribadisce il principio di diritto a mente del quale il delitto di estorsione è integrato dalla condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con minacce larvate di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori o comunque non adeguati alle prestazioni effettuate.
Occorrerà, in conclusione, accertare se la dinamica lesiva della cui imputazione si discute si sia verificata nel corso di un rapporto di lavoro ovvero si colloca cronologicamente nella sua fase genetica.
Nella fase genetica non potrà trovare quartiere il delitto di estorsione in quanto la minaccia di carattere omissivo (quale è, ad esempio, la prospettazione di non stipulare un contratto di lavoro) presuppone un obbligo giuridico in capo all’agente di impedire l’evento dannoso minacciato e che non risulta configurabile in capo al potenziale datore di lavoro, sul quale non grava nessun obbligo di assumere il potenziale lavoratore.
Non solo, ma anche sul piano dell’evento dannoso non si ravviserà la sussistenza di tale requisito in quanto nella fase precontrattuale la situazione patrimoniale del potenziale lavoratore risulta esattamente corrispondente a quella che si registrerebbe nell’ipotesi in cui la gestazione contrattuale non ha portato all’instaurazione del rapporto di lavoro ambito dal contraente debole. Si vuole dire che la preesistente condizione di disoccupazione dell’aspirante lavoratore fa sì che il mancato conseguimento dell’impiego (integrante ineccepibilmente un dato patrimonialmente positivo) non inciderà negativamente sulla condizione reddituale del medesimo.
Riferimenti normativi:
Art. 629 c.p.