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Riciclaggio “attenuato”: il richiamo alla pena detentiva inferiore nel massimo a cinque anni è riferito anche alle aggravanti

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Reati contro il patrimonio

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Riciclaggio “attenuato”: il richiamo alla pena detentiva inferiore nel massimo a cinque anni è riferito anche alle aggravanti

lunedì 27 novembre 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta ad un imputato per il reato di riciclaggio, escludendo l’applicabilità delle attenuanti di cui all’ultimo comma dell’art. 648-bis, c.p., atteso che la res riciclata era oggetto di furto aggravato ex art. 625, n. 7, c.p., la Corte di Cassazione penale, Sez. II, con la sentenza 16 novembre 2023, n. 46211 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui il richiamo contenuto nell’art. 648-bis, comma 4, c.p. alla pena detentiva inferiore nel massimo a cinque anni dovrebbe essere riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese quelle ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato – ha diversamente affermato che l’attenuante di cui all’art. 648-bis, comma 4, c.p., in considerazione della littera e della ratio legis, è applicabile nel solo caso in cui la pena prevista in astratto per il reato presupposto, comprensiva delle circostanze aggravanti che siano state riconosciute sussistenti, indipendentemente da un eventuale bilanciamento, all’esito di un giudizio conclusosi con sentenza passata in giudicato ovvero all’esito di un giudizio incidentale compiuto dal giudice del riciclaggio, sia inferiore nel massimo a cinque anni di reclusione.

Cassazione penale, Sez. II, sentenza 16 novembre 2023, n. 46211

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Non si rinvengono precedenti
Difformi Non si rinvengono precedenti

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 648-bis, c.p., sotto la rubrica «Riciclaggio», dopo aver affermato al comma 1 che “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000”, per quanto qui rileva, prevede al comma 4 una speciale attenuante, stabilendo che “La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648”.

L’attenuante speciale, ad effetto comune, presuppone che i beni riciclati provengano da un delitto per il quale sia stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Potrebbe quindi trovare applicazione anche per un grave fatto di riciclaggio, soltanto a cagione della pena edittale stabilita per il delitto principale (ad es., truffa aggravata dal danno patrimoniale di particolare gravità). Per evitare un’evidente disarmonia, in considerazione dei rapporti tra artt. 648-bis e 648-ter, il legislatore avrebbe fatto bene a prevedere per il riciclaggio la stessa attenuante, quella della particolare tenuità del fatto, che può mitigare la pena per il delitto dell’art. 648-ter.

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello confermava la sentenza pronunciata dal Tribunale, che aveva condannato un cittadino extracomunitario per il reato di associazione a delinquere e per due ipotesi di riciclaggio.

Ricorrendo in cassazione, l’imputato ne sosteneva l’erroneità, per quanto qui di interesse, con riferimento alla mancata sussunzione dei fatti di riciclaggio nella ipotesi attenuata di cui all’art. 648-bis c.p. In particolare, la Corte d’appello aveva errato nell’affermare che, nel caso di specie, il reato presupposto del riciclaggio è il furto aggravato ai sensi dell’art. 625 n. 7, c.p., per essere state le autovetture esposte alla pubblica fede, con la conseguenza che – trattandosi di reato punito con pena superiore a cinque anni di reclusione – non poteva trovare applicazione l’ipotesi attenuata. Invero, per un verso non vi è prova agli atti della esposizione alla pubblica fede e, comunque, deve aversi riguardo alla pena prevista per il reato base.

La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C. non ha condiviso il percorso logico-argomentativo seguito dalla difesa, mutuato dalle argomentazioni della sentenza Cass. pen., Sez. Un., n. 36272 del 31/3/2016, S., CED Cass. 267238 – 01. Chiarisce la Cassazione che il principio di diritto enunciato («Ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell’art. 168-bis c.p., alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato»), non ha valenza generale proprio perché è limitato all’istituto della messa alla prova di cui all’art. 168-bis c.p., come risulta evidente dalla motivazione, che è tutta incentrata sull’analisi storica e sistematica dell’art. 168-bis c.p.

Escluso, quindi, che il suddetto principio possa essere applicato sia pure in via analogica alla fattispecie in esame, non resta che procedere all’interpretazione della norma per verificare se, per l’applicazione dell’attenuante, debba tenersi conto della pena stabilita dal reato presupposto base ovvero dalla pena stabilita dal reato presupposto aggravato. Del resto, anche se la maggior parte delle disposizioni del codice tengono conto, per la determinazione della pena ai più diversi fini, delle circostanze aggravanti per le quali è stabilita una pena di specie diversa e di quelle ad effetto speciale, non per questo deve ritenersi che da esse emerga una regola generale e, soprattutto, che tale regola non sia derogabile dal legislatore. In realtà, si tratta semplicemente di una “linea di tendenza”, che non assurge a criterio generale.

Orbene, come hanno osservato le Sezioni Unite cit. «[…] il riferimento alla lettera della legge costituisce la prima regola interpretativa (art. 12 preleggi) e, allo stesso tempo, il limite di ogni altro criterio ermeneutico cui ricorrere solo quando il testo risulti poco chiaro o di significato non univoco».

L’art. 648-bis, comma 4, c.p. dispone che la pena per il delitto di riciclaggio è diminuita solo quando per il reato presupposto «è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni». Tuttavia, poiché la legge è silente sul criterio da seguire per calcolare la pena stabilita per il reato presupposto, non vi è alcun motivo per cui debba privilegiarsi la pena stabilita per il reato base e non anche quella stabilita dal reato base aggravato, tanto più ove si consideri che «la fattispecie circostanziata è dotata di una sua autonoma cornice edittale […]» (Sezioni Unite cit.). Risulta, dunque, determinante, a giudizio della Cassazione, l’interpretazione sistematica della norma.

Sul punto, i Supremi Giudici prendono le mosse da un dato fondamentale: la circostanza attenuante di cui al comma 4 dell’art. 648-bis c.p. si giustifica e trova la sua ragion d’essere nel minor disvalore del reato presupposto, al quale è in modo indissolubilmente subordinata: se la pena (edittale) prevista per il reato presupposto – comprese le circostanze aggravanti – è inferiore nel massimo a cinque anni, il giudice che giudica il reato a valle (rectius: riciclaggio) deve riconoscere la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 648-bis, comma 4, c.p.; se, invece, la pena (edittale) prevista per il reato presupposto – comprese le circostanze aggravanti – è superiore nel massimo a cinque anni, il giudice che giudica il reato a valle (rectius: riciclaggio) non può riconoscere la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 648-bis, comma 4, c.p.

È chiaro, a questo punto, che diventa fondamentale accertare quale sia la pena del reato presupposto. Ove il reato presupposto sia stato oggetto di un separato giudizio con sentenza passata in giudicato, il giudice che giudica il riciclaggio non può che prendere atto della decisione del giudice del reato presupposto e ad essa adeguarsi. Quindi, riterrà o meno la sussistenza dell’attenuante a seconda che la pena edittale del reato presupposto (comprese le aggravanti, ove siano state ritenute se pure in astratto e, quindi, indipendentemente da eventuali bilanciamenti) superi o meno nel massimo la pena di anni cinque.

Ove il reato presupposto non sia stato oggetto di alcun giudizio, spetta al giudice che giudica del riciclaggio, verificarne – sia pure in via incidentale – la sussistenza. In tal senso è la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale «in tema di riciclaggio ed autoriciclaggio, non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio o autoriciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza, in mancanza imponendosi l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste» (Cass. pen., Sez. II, n. 42052 del 19/6/2019, M.C., CED Cass. 277609 – 02; Cass. pen., Sez. II, n. 28272 del 31/5/2023, S.; Cass. pen., Sez. II, n. 16764 del 19/1/2023, C.; Cass. pen., Sez. V, n. 17747 del 17/1/2022, A.).

Si ripropone, quindi, anche per il giudizio incidentale, mutatis mutandis, la stessa situazione illustrata in relazione alla sentenza passata in giudicato sul reato presupposto. In proposito, invero, la S.C. ha rilevato che «è poi innegabile che il giudizio prognostico circa l’applicabilità o meno dell’attenuante di cui all’art. 648- bis c.p., comma 3 e – in caso affermativo – circa la misura della riduzione di pena derivantene, per i fini di cui all’art. 280 c.p.p., appartiene al merito e non può formare oggetto di ricorso per cassazione, una volta che il giudice abbia motivato il proprio convincimento: il che si riscontra nel caso di specie, in cui il Tribunale ha valorizzato la gravità dei fatti contestati e l’applicabilità ai reati presupposti dell’aggravante di cui al D.L. 13 maggio, n. 152, art. 7» (Cass. pen., Sez. V, n. 36940 del 21/5/2008, M.).

Come risulta da quanto finora illustrato, è evidente per la S.C. che il trattamento sanzionatorio più mite per il reato di riciclaggio trova la sua ratio legis nel minor disvalore del reato presupposto. E così – per fare un esempio – una cosa è un furto semplice, commesso con modalità che non destano particolare allarme sociale e cosa ben diversa è un furto pluriaggravato ai sensi dell’art. 625 c.p., che, com’è noto, prevede plurime circostanze ad effetto speciale che determinano la pena in misura indipendente (fino a dieci anni di reclusione) da quella del reato base (si pensi ad un furto ad una banca con la tecnica cosiddetta del “buco”, per mezzo del quale gli agenti penetrano di notte all’interno dei locali dell’istituto di credito e saccheggiano le cassette di sicurezza): il disvalore all’evidenza è del tutto diverso, di talché non sarebbe razionale applicare la circostanza attenuante di cui al comma 4 dell’art. 648-bis c.p. (per effetto di una sterilizzazione artificiosa della pena del reato presupposto derivante dall’eliminazione delle aggravanti) a fronte di un reato presupposto che finirebbe per essere punito più severamente del riciclaggio (il che contrasterebbe con l’intento legislativo che, in situazioni analoghe, proprio al fine di sterilizzare gli effetti del reato presupposto, tende a punire più gravemente i reati a valle, come ad es. nella ricettazione).

Da qui, pertanto, il rigetto del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 648-bis, comma 4 c.p.

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