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Richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della CEDU

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Penale

Revisione

Richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della CEDU

venerdì 15 dicembre 2023

di Crimi Salvatore Avvocato Cassazionista in Torino

La sentenza della Cassazione penale, Sez. V, 23 novembre 2023, n. 47183 si occupa del nuovo rimedio restitutorio interpolato all’art. 628-bis c.p.p. per dare attuazione alle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, analizzandone la portata applicativa e lo sviluppo in action.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza 23 novembre 2023, n. 47183

La sentenza in disamina offre l’occasione per lo studio dell’istituto di nuova introduzione della richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della CEDU.

L’art. 36, comma 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha inserito nel codice di procedura penale il Titolo III bis, dei Rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo.

L’art. 628-bis, rubricato “Richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali”, dispone:

“1. Il condannato e la persona sottoposta a misura di sicurezza possono richiedere alla Corte di cassazione di revocare la sentenza penale o il decreto penale di condanna pronunciati nei loro confronti, di disporre la riapertura del procedimento o, comunque, di adottare i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quando hanno proposto ricorso per l’accertamento di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dai Protocolli addizionali alla Convenzione e la Corte europea ha accolto il ricorso con decisione definitiva, oppure ha disposto la cancellazione dal ruolo del ricorso ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato.

  1. La richiesta di cui al comma 1 contiene l’indicazione specifica delle ragioni che la giustificano ed è presentata personalmente dall’interessato o, in caso di morte, da un suo congiunto, a mezzo di difensore munito di procura speciale, con ricorso depositato presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza o il decreto penale di condanna nelle forme previste dall’articolo 582, entro novanta giorni dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione della Corte europea che ha accertato la violazione o dalla data in cui è stata emessa la decisione che ha disposto la cancellazione del ricorso dal ruolo. Unitamente alla richiesta sono depositati, con le medesime modalità, la sentenza o il decreto penale di condanna, la decisione emessa dalla Corte europea e gli eventuali ulteriori atti e documenti che giustificano la richiesta.
  2. Le disposizioni del comma 2, primo periodo, si osservano a pena di inammissibilità.
  3. Sulla richiesta la Corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell’articolo 611. Se ne ricorrono i presupposti, la corte dispone la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza ai sensi dell’articolo 635.
  4. Fuori dei casi di inammissibilità, la Corte di Cassazione accoglie la richiesta quando la violazione accertata dalla Corte europea, per natura e gravità, ha avuto una incidenza effettiva sulla sentenza o sul decreto penale di condanna pronunciati nei confronti del richiedente. Se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la Corte assume i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna. Altrimenti trasmette gli atti al giudice dell’esecuzione o dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi.
  5. La prescrizione riprende il suo corso dalla pronuncia della Corte di cassazione che dispone la riapertura del processo davanti al giudice di primo grado.
  6. Quando la riapertura del processo è disposta davanti alla corte di appello, fermo restando quanto previsto dall’articolo 624, si osservano le disposizioni di cui ai commi 1, 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 344-bis e il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine di cui all’articolo 128.
  7. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando la violazione accertata dalla Corte europea riguarda il diritto dell’imputato di partecipare al processo.”

L’istituto di nuovo conio consente di ‘attuare’ nell’ordinamento interno le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

Il caso di specie ha ad oggetto la ‘revisione’ della sentenza irrevocabile con la quale A.K. era stata condannata per il delitto di calunnia ai danni di P.L.

La richiedente si era rivolta alla Corte EDU, denunciando la violazione dei propri diritti nell’ambito del processo penale nel quale era accusata dell’omicidio di M.K.

In particolare, la richiedente aveva denunciato la violazione dei diritti di difesa allorquando immediatamente dopo il rinvenimento del cadavere di M. venne dapprima escussa a sommarie informazioni testimoniali e poi rese spontanee dichiarazioni, nonché successivamente scrisse delle dichiarazioni.

La K.aveva denunciato, nel corso del processo a suo carico, di essere stata posta nelle condizioni di dover calunniare e per tale denuncia fu altresì processata per calunnia nei confronti dei poliziotti, degli interpreti e del Pubblico Ministero.

Da tali contestazioni venne assolta dalla sentenza del Tribunale di Firenze.

La Corte EDU ha accolto il ricorso ritenendo violato l’art. 3CEDU (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”) sotto il profilo procedurale. Più precisamente la violazione è stata ravvisata nel fatto che era mancata “una indagine ufficiale effettiva per identificare e punire i possibili responsabili”.

La seconda violazione rilevata dalla Corte EDU è quella dell’articolo 6, §§ 1 (“Ogni persona ha diritto a un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità può pregiudicare gli interessi della giustizia”) e 3 lett. c) CEDU, secondo cui “ogni accusato ha diritto a difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia”. Il diritto all’assistenza difensiva era stato negato alla K. in quanto erano state raccolte le sue dichiarazioni senza la presenza del difensore.

Infine, la terza violazione rilevata è quella dell’articolo 6 §§ 1 e 3 lett. e) CEDU, quanto all’assistenza di un interprete, secondo cui “ogni accusato ha diritto a farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata all’udienza”.

La difesa ha invocato la revoca della sentenza definitiva di condanna per calunnia, assumendo la violazione degli artt. 2 e 13 Cost., laddove la libertà personale costituisce diritto inviolabile dell’individuo, allegando che la ‘manipolazione’ da parte dell’interprete su di una (già, di fatto) indagata di lingua straniera ebbe direttamente ad incidere sulla capacità di autodeterminazione difensiva.

Anche l’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea riconosce i diritti inviolabili dell’uomo.

Il rimedio introdotto all’art. 628-bis c.p.p. ha la finalità di dare attuazione all’art. 46CEDU, che a sua volta impone agli Stati aderenti di conformarsi alle decisioni della Corte EDU, la quale riconosce una equa soddisfazione al richiedente danneggiato da un provvedimento giurisdizionale che abbia disatteso i principi della Convenzione. Ma tale attuazione deve essere concreta e impone l’adozione di sistemi rimediali per rimuovere le (ulteriori) conseguenze dannose delle decisioni emesse in violazione della CEDU.

Nel corso del tempo si è formato un diritto pretorile in seno alla Nomofilachia e alla Corte costituzionale, che hanno rimodellato gli istituti della restituzione nel termine, del ricorso straordinario per errore di fatto e dell’incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 c.p.p., al fine di ottenere una (pur sempre parziale) soluzione reintegrativa alla luce del decisum del Giudice sovranazionale.

L’istituto in esame consente al condannato o al soggetto sottoposto a misura di sicurezza di ricorrere entro il termine perentorio di 90 giorni dalla pronuncia del Giudice di Strasburgo avanti la Corte di Cassazione per ottenere:

1) la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna ingiusti,

2) la riapertura del procedimento avanti la corte territorialmente competente ovvero

3) la eliminazione degli effetti pregiudizievoli in altra forma.

Conditio sine qua non è che la violazione individuata dalla Corte EDU abbia avuto per natura e gravità una incidenza effettiva sulla prolazione della sentenza o del decreto di condanna.

Vi è da osservare che la Corte EDU ha accordato rilevanza alle dichiarazioni rese a s.i.t. e poi a quelle spontanee rese nella stessa notte agli inquirenti dalla K., pur in assenza di una assistenza difensiva e alla presenza di una interprete che aveva assunto un non richiesto atteggiamento materno: entrambe tali violazioni procedurali hanno determinato una depressione psicologica nella K., che non ancora formalmente indagata, perciò senza difesa, aveva ritenuto di calunniare per difendersi dalla pressione patita.

Vi era poi il memoriale scritto poco dopo, prima ancora del fermo e della traduzione in carcere.

La Corte EDU non ha ritenuto che il memoriale sia stato viziato da inosservanze della CEDU.

Tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto di non poter addentrarsi nell’interpretazione del contenuto del memoriale suddetto, che da taluni giudici del merito fu ritenuto confermativo delle accuse calunniose e in altra pronuncia (nel corso del medesimo processo, che è approdato due volte avanti la Suprema Corte di Cassazione) fu ritenuto in distonia con le accuse mosse a L. nelle funzioni narrative.

Per tali ragioni la Corte, per porre rimedio alla violazione dei parametri EDU e perciò della fonte sovranazionale pattizia, ha ritenuto di revocare le sentenze di condanna e annullare la sentenza di appello di Perugia, con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di assise di appello di Firenze.

La novella legislativa ha reso operativa una necessaria (e costituzionalmente prevista) limitazione di sovranità necessaria a fini di Giustizia e in armonia all’ordinamento sovranazionale pattizio (CEDU).

Riferimenti normativi:

Art. 628-bis c.p.p.

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