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SS.UU.: la decorrenza del termine di prescrizione osta alla contestazione suppletiva della recidiva

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Penale

Prescrizione

SS.UU.: la decorrenza del termine di prescrizione osta alla contestazione suppletiva della recidiva

martedì 19 dicembre 2023

di Aceto Aldo Consigliere della Corte di Cassazione

Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione con la sentenza 14 dicembre 2023, n. 49935 hanno dato risposta al seguente quesito: «Se, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale rilevi anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato.

Cassazione penale, Sez. Un., sentenza 14 dicembre 2023, n. 49935

La soluzione
Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato.

 

I precedenti
Cass. pen., Sez. II, 7/5/1988, n. 5610 In tema di determinazione del tempo necessario a prescrivere ai sensi dell’art. 157 c.p., deve tenersi conto dell’aumento di pena stabilito per la recidiva in quanto, il carattere facoltativo dell’aumento della pena stabilito nell’art. 9 della L. 7 giugno 1974, n. 220 che ha modificato l’art. 99 c.p. attiene soltanto ai poteri discrezionali del giudice di cognizione nell’apprezzamento complessivo del fatto sottoposto al suo esame. Tuttavia, non può tenersi conto dell’aumento di pena ai fini della prescrizione ove la circostanza non sia stata contestata anteriormente allo spirare del tempo necessario a prescrivere, calcolato secondo la originaria configurazione del fatto-reato; ciò in relazione alla natura costitutiva della contestazione dell’accusa. Pertanto, quando la prescrizione si è già verificata in relazione alla contestazione originaria, deve pronunciarsi l’estinzione del reato per tale causa non potendo valere la contestazione della recidiva, come di ogni altra circostanza aggravante, avvenuta successivamente alla scadenza del termine di prescrizione.
Cass. pen., Sez. VI, 13/12/2017, n. 55748 È illegittima la contestazione della recidiva ove effettuata in presenza di presupposti per l’immediata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. La contestazione della recidiva, con il conseguente prolungamento dei termini prescrizionali, non può determinare la reviviscenza di un reato ormai estinto, trattandosi di una contestazione di natura costitutiva.
Cass. pen., Sez. V, 21/11/2019, n. 47241 Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la circostanza aggravante è valutabile anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione confacente all’originaria imputazione, purché la contestazione abbia preceduto la pronuncia della sentenza.

Il caso e la questione di diritto

Con sentenza del 27 gennaio 2022 la Corte di appello di Palermo aveva confermato la condanna dell’imputato per i reati di minaccia aggravata, violazione di domicilio aggravata e tentato furto con strappo.

Nel proporre ricorso per cassazione il difensore aveva dedotto, tra l’altro, la prescrizione dei reati maturata prima che il pubblico ministero contestasse, all’udienza del 17 settembre 2020, la recidiva qualificata (reiterata, specifica, infraquinquennale).

Investita del ricorso, la Quinta Sezione penale aveva rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione dedotta e con ordinanza dell’11 aprile 2023 ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite.

La giurisprudenza precedente

Secondo un primo orientamento ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato. Tale orientamento ritiene la natura costitutiva della contestazione dell’aggravante, che non rappresenta un mero status desumibile dal certificato penale o dal contenuto dei provvedimenti di condanna.

Un secondo orientamento ritiene invece che la contestazione di un’aggravante a effetto speciale, come la recidiva qualificata, sarebbe valutabile ai fini del calcolo del termine di prescrizione anche se avvenuta per la prima volta dopo il decorso del termine previsto per l’imputazione non aggravata, purché la contestazione preceda la pronuncia della sentenza. Questa seconda opzione ermeneutica ritiene la natura meramente ricognitiva e non costitutiva della contestazione, considerato che ogni circostanza è preesistente rispetto alla contestazione stessa e ontologicamente indipendente da essa. La natura costitutiva della recidiva, si afferma, comporta la necessità di una specifica contestazione da parte del pubblico ministero, non potendo essere applicata direttamente dal giudice sulla scorta dei precedenti penali, ma non implica affatto che essa assuma rilevanza anche sotto l’aspetto ontologico unicamente per effetto della contestazione.

Con decreto del 12 ottobre 2022, la Prima Presidente aveva assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali fissando per la trattazione l’udienza del 22 giugno 2023.

La decisione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite aderiscono al primo orientamento.

Al riguardo ricordano che la recidiva aggravata, pluriaggravata e reiterata di cui all’art. 99, commi 2, 3 e 4, c.p., è una circostanza aggravante a effetto speciale in quanto comporta un aumento della pena superiore a un terzo (art. 63, comma 3, c.p.) che incide sia sul calcolo del tempo necessario a prescrivere ex art. 157, comma 2, c.p., sia sulla entità della proroga di detto tempo, in presenza di atti interruttivi, ex art. 161, comma 2, c.p.

Quindi richiamano il “diritto vivente” (frutto di numerose sentenze precedenti delle stesse Sezioni Unite) secondo il quale occorre operare una netta distinzione fra tre fasi: quella della contestazione della recidiva, riservata al pubblico ministero; quella della verifica da parte del giudice sulla correttezza formale della contestazione; quella della valutazione sulla pericolosità espressa dal nuovo delitto in presenza della quale soltanto il giudice di merito, congruamente motivando, deve applicare la recidiva.

Sulla base di queste premesse, le Sezioni Unite riconoscono che effettivamente la contrapposizione fra natura dichiarativa e natura costitutiva della contestazione della recidiva è fuorviante: se è vero che la contestazione della recidiva, alla stregua di qualsivoglia circostanza aggravante, è presupposto essenziale del suo eventuale riconoscimento, è altrettanto vero che tale contestazione, per la recidiva come per le circostanze aggravanti in generale, ha natura ricognitiva, dimostrativa, cioè, della scelta, da parte della pubblica accusa, di attribuire rilevanza ad una condizione soggettiva preesistente dell’imputato ovvero ad una connotazione specifica del fatto-reato.

La questione si pone perché non è precluso al pubblico ministero contestare la recidiva dopo l’esercizio dell’azione penale, magari nel corso del dibattimento, anche solo per supplire a una inerzia, rimediare a un errore oppure compiere una diversa valutazione discrezionale rispetto a quella fatta al momento dell’esercizio dell’azione penale. In buona sostanza, la preesistenza all’esercizio dell’azione delle condizioni per la contestazione della recidiva non osta alla contestazione postuma nel corso del giudizio.

Il che pone il problema oggetto del contrasto giurisprudenziale.

Le Sezioni Unite ritengono che tale contrasto debba essere risolto applicando la regola indicata dall’art. 129 c.p.p. che, imponendo la immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità in ogni stato e grado del processo, non consente la “reviviscenza” di un reato ormai estinto. Ribadiscono, al riguardo, che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione solo in apparenza confligge con l’interesse dell’imputato al proscioglimento nel merito posto che tale interesse, da un lato, può essere soddisfatto mediante la rinuncia alla prescrizione, dall’altro deve essere contemperato con il principio della ragionevole durata del processo che non può essere considerato aprioristicamente di rango inferiore ad altri interessi pur apprezzabili e, in ogni caso, sempre tutelabili.

Le Sezioni Unite ricordano che, in base alla loro stessa giurisprudenza, l’art. 129 c.p.p., quale norma collocata nell’ambito del capo relativo ad “atti e provvedimenti” giudiziali, enuncia una regola di condotta rivolta direttamente al giudice, una prescrizione generale di tenuta del sistemache, nella prospettiva di privilegiare l’exitus processus ed il favor rei, impone al giudice il proscioglimento immediato dell’imputato quando ricorrano le condizioni da essa previste, a meno che la sua innocenza emerga dagli atti in modo assolutamente non contestabile e percepibile con immediata evidenza, senza la necessità, cioè, di ulteriori accertamenti o approfondimenti che comporterebbero la prosecuzione del processo.

Del resto, ricordano le Sezioni Unite, le norme che consentono eccezionalmente al giudice, nonostante la declaratoria di proscioglimento, di proseguire nel giudizio per determinate specifiche finalità (art. 537 c.p.p., in tema di pronuncia sulla falsità di documenti; art. 301D.P.R. n. 43/1973), proprio perché derogatorie rispetto all’art. 129 c.p.p., non possono essere certo considerate esemplificative di un “sistema”.

La cogenza della regola e l’obbligo del giudice della sua immediata applicazione ostano, di conseguenza, alla reviviscenza di un reato la cui estinzione per prescrizione, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., avrebbe dovuto essere dichiarata non appena la stessa fosse maturata. La omessa pronuncia della doverosa sentenza liberatoria da parte del giudice, annotano le Sezioni Unite, non può creare un pregiudizio all’imputato che di detta decisione avrebbe dovuto beneficiare, facendo “rivivere”, a seguito della contestazione suppletiva della recidiva qualificata, un reato per il quale era già spirato il termine massimo di prescrizione, causa di estinzione che il giudicante avrebbe dovuto riconoscere e che, “ora per allora”, va riconosciuta e dichiarata.

Ragionando diversamente si rimetterebbe illogicamente alla diligenza del giudice di primo grado la sorte del processo in presenza di identiche situazioni: un imputato beneficerebbe o meno della sentenza favorevole in base al tempestivo rilievo (o meno) della causa di estinzione del reato da parte del giudice stesso, avvenuto prima o dopo la contestazione suppletiva ex art. 517 c.p.p. della recidiva qualificata.

L’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva del reato, previsto dall’art. 129 c.p.p., se correttamente e tempestivamente adempiuto dal giudice, preclude al pubblico ministero la possibilità stessa di procedere alla contestazione suppletiva, mancando lo stesso segmento processuale nel quale esercitare la facoltà.

Detto obbligo, dunque, rappresenta l’elemento dirimente, risultando irrilevante il contrasto giurisprudenziale, richiamato nell’ordinanza di rimessione, sulla natura (dichiarativa o costitutiva) della contestazione della recidiva.

Di qui l’affermazione del principio di diritto sopra indicato in attuazione del quale le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso e annullato senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti prima della contestazione della recidiva qualificata.

Riferimenti normativi:

Art. 157 c.p.

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