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Pene sostitutive: la richiesta in sede di appello fino a quando può essere formulata?

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Pene sostitutive

Pene sostitutive: la richiesta in sede di appello fino a quando può essere formulata?

mercoledì 20 dicembre 2023

di Minnella Carmelo Avvocato in Catania e Cultore di Diritto Penitenziario dell’Università degli Studi di Catania

La sentenza della Cassazione penale, Sez. VI, 28 novembre 2023, n. 47674, ponendosi in aperto contrasto con un contrapposto orientamento seguito all’interno della stessa Sesta Sezione di legittimità ritiene che la norma transitoria dell’art. 95 del D.Lgs. n. 150/2022, stabilisce espressamente l’applicabilità delle nuove pene sostitutive (in quanto più favorevoli) ai giudizi di appello in corso all’entrata in vigore della Riforma Cartabia, senza introdurre limitazioni attinenti alla fase (introduttiva o decisoria) del giudizio medesimo e, quindi, senza imporre che la richiesta sia contenuta nei motivi (originari o aggiunti) del gravame.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 28 novembre 2023, n. 47674

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen., Sez. VI, n. 33027/2023
Difformi Cass. pen., Sez. VI, n. 41313/2023

Nel caso portato dinanzi alla Suprema Corte, la competente Corte di appello, a seguito di gravame interposto dall’imputato avverso la sentenza emessa dal locale Tribunale, in riforma della decisione, ha rideterminato la pena inflitta al predetto imputato in quella di anni quattro di reclusione, disponendo sostituirsi la pena con la detenzione domiciliare, in relazione alla affermazione di responsabilità in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia aggravati ai danni della moglie e dei figli minorenni e in presenza di altra figlia minorenne.

In particolare, in sede di appello l’imputato, alla udienza del 19 gennaio 2023, ha rinunciato ai motivi di appello riguardanti la affermazione di responsabilità, ribadendo quelli riguardanti la mancata concessione delle attenuanti generiche e la dosimetria della pena, chiedendo la sua rideterminazione entro i limiti di anni quattro con sostituzione in detenzione domiciliare. Sulla richiesta di sostituzione non risulta essersi instaurato il contraddittorio e la Corte ha senz’altro disposto la sostituzione della pena detentiva sul solo rilievo della «idoneità del domicilio familiare (ove non trovansi più le persone offese ed in cui è in corso la misura cautelare domiciliare) che è a disposizione dell’imputato ed in vista di un più adeguato reinserimento sociale», dando informazione della sostituzione all’U.E.P.E. «per quanto di competenza».

Avverso la sentenza ricorre per cassazione il PG deducendo con unico motivo violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla disposta sostituzione della pena detentiva con quella della detenzione domiciliare in quanto decisa senza il parere del pubblico ministero e senza il previsto programma di recupero e reinserimento sociale con le correlate prescrizioni. Inoltre, l’applicazione della misura sostitutiva (come previsto dalla L. n. 689/1981, art. 56, modificata dal D.Lgs. n. 150/2022) prevede che il giudice debba avere riguardo «a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro e di salute del condannato» e non operare la sostituzione, a tutto vantaggio dell’imputato, in modo per così dire “automatico”, semplicemente perché la pena inflitta rientra nei limiti normativi, dovendosi -come non è stato fatto nel caso di specie – valutare l’idoneità della pena inflitta al raggiungimento dello scopo di reinserimento sociale del condannato, come previsto dall’art. 27 Cost.

L’odierna Cass. pen., Sez. VI, n. 47674/2023, accoglie il ricorso, ritenendo, con riferimento alla mancanza di contraddittorio sulla pene sostitutiva, «che il giudice di appello, nel procedere alla sostituzione della pena detentiva, non osservando le regole procedurali connesse alla “scansione bifasica”, non ha consentito l’interlocuzione del PM al quale non ha dato avviso della possibilità di pervenire alla sostituzione della pena, così integrandosi la nullità d’ordine generale exart. 178, comma 1, lett. b), c.p.p., dedotta dal ricorrente. Inoltre, la Corte di merito, in violazione di precisi obblighi a riguardo, non ha svolto alcun – necessario – esame, tra l’altro, sulle modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e sulla personalità dell’imputato; né ha giustificato la scelta del tipo di pena erogata e la sua idoneità al reinserimento sociale del condannato; infine, non ha disposto alcuna prescrizione alla quale l’imputato debba essere obbligato al fine di tale reinserimento con la correlata positiva presunzione di loro adempimento».

I giudici di legittimità dapprima specificano meglio i contorni applicativi del diritto intertemporale tracciati dall’art. 95 del D.Lgs. n. 150/2022, per il quale il novum normativo introdotto dalla riforma Cartabia in materia di pene sostitutive sia applicabile anche ai processi in corso all’entrata in vigore della disciplina normativa (30 dicembre 2022) che si trovino in primo grado e in appello. Qualora invece, sempre al 30 dicembre, il procedimento è pendente in cassazione, la pena sostitutiva potrà essere richiesta al giudice dell’esecuzione (secondo la recentissima sentenza n. 48579/2023, l’applicazione retroattiva del nuovo regime delle pene sostitutive non è preclusa se il giudizio, pendente in Cassazione alla data di entrata in vigore della riforma Cartabia, si è concluso con l’inammissibilità del ricorso; inoltre, per Cass. pen., Sez. IV, n. 48554/2023, non è possibile rimettere in gioco il patteggiamento già concluso a pena detentiva: l’accordo rimane intoccabile in base alla suindicata norma transitoria sui procedimenti in corso che va interpretata come riferita al solo processo ordinario).

La sostituzione della reclusione con una pena sostitutiva nei giudizi di merito non costituisce diritto dell’imputato e, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito alla applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive di cui all’art. 20-bis c.p., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame, ma che deve comunque intervenire al più tardi nel corso dell’udienza di discussione in appello» (Cass. pen., Sez. VI, n. 33027/2023).

Tuttavia, per Cass. pen., Sez. VI, n. 41313/2023, «affinché possa essere richiesta in sede di appello la pena sostitutiva di pene detentive brevi, la stessa debba essere veicolata attraverso i tipici strumenti processuali individuati per il regime delle impugnazioni in genere e dell’appello in particolare attraverso i motivi nuovi, quando ciò, ovviamente, sia in concreto possibile». Se, quindi, non sia spirato il termine per proporre nuovi motivi, è in quella sede che va avanzata la richiesta; e, qualora scaduto tale termine, si chieda la pena sostitutiva in sede di discussione, i giudici di seconde cure la riterranno tardiva e il relativo ricorso, sul punto, inammissibile.

Pertanto, sul punto relativo al tempus entro il quale può avanzarsi in appello la richiesta di pena sostitutiva si sta delineando un contrasto in sede alla Sesta Sezione di legittimità.

L’odierna Cass. pen., Sez. VI, n. 47674/2023 torna ad affrontare la questione della ammissibilità della istanza dell’imputato ai giudici di appello di sostituzione della pena irroganda, proposta solo nelle sue conclusioni.

Ebbene, il Collegio, richiamando Cass. pen. n. 33027/2023, ricorda come si sia condivisibilmente chiarito che non può ritenersi che la richiesta di sostituzione, ove non formulata in sede di appello, o di motivi nuovi, sarebbe preclusa ai sensi dell’art. 597 c.p.p.

Infatti, il principio affermato da Cass. pen., Sez. Un., n. 12872/2017 P.– secondo cui il giudice di appello non ha il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi se nell’atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta con riguardo a tale punto della decisione, dal momento che l’ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 597, comma 5, c.p.p. che costituisce una eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell’appello e che segna anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire la pena detentiva previsto dalla L. n. 689/1981, art. 58 – deve essere coordinato con la suindicata disciplina transitoria. L’art. 95D.Lgs. n. 150/2022, infatti, stabilisce espressamente l’applicabilità delle nuove pene sostitutive (in quanto più favorevoli) ai giudizi di appello in corso all’entrata in vigore della riforma Cartabia, senza introdurre limitazioni attinenti alla fase – introduttiva o decisoria – del giudizio medesimo e, quindi, senza imporre che la richiesta sia contenuta nei motivi (originari o aggiunti) del gravame.

Tale interpretazione, oltre che risultare conforme al contenuto letterale della disposizione, si pone nella linea di favorire, in conformità con l’intentio legislatoris, la più ampia applicazione delle nuove pene sostitutive, ove il giudice di appello ritenga ne ricorrano i presupposti suindicati.

Incoraggianti, all’uopo, i primi dati ufficiali sulle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi: già oltre 1.400 in esecuzione, come si evince nel Rapporto sullo stato dell’esecuzione delle misure e sanzioni di comunità, aggiornato al 15 novembre 2023, pubblicato dal Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità ha pubblicato sul sito del Ministero della Giustizia.

Confutato anche l’argomento del contrapposto orientamento secondo cui in tali casi il giudice di appello sarebbe onerato, in presenza di una mera generica sollecitazione, ma in assenza di qualunque allegazione da parte dell’interessato, di una serie di verifiche, valutazioni e prognosi, anche discrezionali, necessitate dall’esigenza di verificare l’esistenza di specifici presupposti oggettivi e soggettivi, di valutare discrezionalmente la soluzione più idonea al reinserimento sociale del condannato, di formulare una prognosi circa il futuro rispetto delle prescrizioni, di “specificamente indicare i motivi che giustificano la scelta del tipo di pena erogata” (art. 58 cit.), di determinare l’ammontare della pena pecuniaria entro ampi limiti di discrezionalità tenendo conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare (art. 53, comma 2, stessa legge).

Ebbene, secondo la sentenza in commento, tale approccio risulta superato dalla modalità bifasica introdotta con il D.Lgs. n. 150/2022 e applicabile come detto anche all’appello, attraverso la quale, nel pieno contraddittorio, avviene l’accertamento dei presupposti della sostituzione della pena.

Nel caso di specie, quindi, aderendo alle argomentazioni che precedono, le condizioni per introdurre il thema decidendi della pena sostitutiva devono essere ritenute sussistenti in ragione della formulazione della specifica richiesta difensiva in sede di conclusioni, avuto riguardo alla indicata norma transitoria.

Seguendo questa linea interpretativa, quindi, anche l’art. 545-bis c.p.p. (c.d. udienza sentencing) trova applicazione ai procedimenti pendenti in appello alla data del 30 dicembre 2022. Di conseguenza nel caso in cui sia stata applicata una pena detentiva non superiore agli anni 4 e non sia stata disposta la sospensione condizionale, il giudice dà avviso alle parti della possibilità di sostituire la pena con una di quelle previste ex art. 53L. n. 689/1981 se ne ricorrono i presupposti.

Se non è nelle condizioni di applicare la misura sostitutiva, sospende il giudizio e rinvia ad altra udienza, acquisendo eventuali informazioni da parte dell’ufficio dell’esecuzione penale.

Così delineato il procedimento, è evidente che «l’avviso è propedeutico all’applicazione della misura sostitutiva e presuppone una delibazione positiva anche se sommaria dei presupposti da parte del giudice, sicché non sussiste un obbligo automatico riferito a tutte le pronunzie di condanna a pena inferiore a 4 anni non sottoposte a sospensione condizionale» (Cass. pen., Sez. II, n. 43848/2023).

In argomento, si segnala la recente specifica della coeva Cass. pen., Sez. VI, n. 47678/2023, secondo cui «l’art. 95D.Lgs. n. 150/2022 si riferisce, come si desume dall’art. 545-bis c.p.p., alla pena irrogata con la sentenza di condanna (e non a quella residua), con la conseguenza che la differente struttura giuridica delle pene sostitutive rispetto alle misure alternative alla detenzione e la diversa ratio cui gli istituti si ispirano rendono non irragionevole una disciplina diversificata e, pertanto, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata».

Accolto, infine, il motivo di ricorso anche sotto l’altro versante della mancanza del programma di recupero e reinserimento sociale con le correlate prescrizioni, essendosi limitata la Corte territoriale a dare informazione della sostituzione all’U.E.P.E. «per quanto di competenza».

Invece, il programma, una volta avviata la procedura bifasica di sentencing, rappresenta condicio sine qua non per poter accedere successivamente (cioè al termine del procedimento applicativo tracciato dalla riforma Cartabia) alle sanzioni sostitutive.

Riferimenti normativi:

Art. 95D.Lgs. n. 150/2022

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