fbpx
Lun Mer Ven 15:30 -19:30

Geometra sospeso dall’albo assume la direzione dei lavori: è esercizio abusivo della professione

Avvocato Penalista e Cassazionista Roma  > News >  Geometra sospeso dall’albo assume la direzione dei lavori: è esercizio abusivo della professione
0 Comments

Reati contro la P.A.

Reati contro la P.A.

Geometra sospeso dall’albo assume la direzione dei lavori: è esercizio abusivo della professione

lunedì 04 settembre 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta ad un geometra per aver abusivamente esercitato la relativa professione, assumendo e svolgendo il ruolo di direttore lavori inerenti alla costruzione di un edificio, come confermato dalla avvenuta presentazione, in tale qualità, della relativa comunicazione di inizio lavori (CILA), la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 23 agosto 2023, n. 35492 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui il reato contestato (art. 348, c.p.) non sarebbe stato configurabile in quanto la comunicazione di inizio lavori non rientra tra gli atti espressamente riservati alla professione di geometra, potendo essere presentata da chiunque, anche da soggetto privo di qualifica e titolo abilitativo e non necessariamente dal direttore dei lavori – ha affermato il principio secondo cui lo svolgimento della direzione lavori da parte del geometra sospeso dall’albo integra il reato di esercizio abusivo della professione, pacificamente rientrando tra quelli tipicamente propri dell’attività professionale di geometra (art. 16R.D. 11 febbraio 1929, n. 274), perché condizionato alla presenza della relativa abilitazione.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 23 agosto 2023, n. 35492

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen., Sez. VI, 15/2/2007, n. 20439
Difformi Non si rinvengono precedenti

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 348, c.p. sotto la rubrica «Esercizio abusivo di una professione» punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000, la condotta di chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui sopra ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.

La figura delittuosa in esame intende tutelare l’interesse generale a che determinate professioni, in ragione della loro peculiarità e della competenza richiesta per il loro esercizio, siano svolte solo da chi sia provvisto di standard professionali accertati da una speciale abilitazione rilasciata dallo stato (Contieri, Esercizio abusivo di professioni, arti e mestieri, in ED, XV, Milano, 1966, 606; D’Ambrosio, Note sull’esercizio abusivo della professione, in GM, 1986, 2, 392).

L’abusività dell’esercizio sussiste allorquando l’agente sia sfornito del titolo, ovvero non abbia adempiuto alle formalità prescritte, oppure si trovi temporaneamente interdetto o inabilitato dall’esercizio della professione. In ogni caso, secondo la giurisprudenza, l’esame circa la sussistenza delle condizioni sopra menzionate va effettuato in concreto, verificando se, in relazione all’attività effettivamente svolta, il soggetto poteva dirsi legittimato secondo la legislazione statale.

È stato così riconosciuto che per la sussistenza del reato de quo è sufficiente l’esercizio in concreto di una attività per cui è richiesta una particolare abilitazione non posseduta, non rilevando l’attribuzione formale della attività ad un altro professionista abilitato (Cass. pen., Sez. VI, 10/3/1989), e, nel contempo, la sussistenza del reato non è esclusa dalla iscrizione all’Albo professionale, ove tale titolo sia invalido ovvero risultino mancanti i requisiti sostanziali prescritti per lo svolgimento della professione (Cass. pen., Sez. Un., 26/4/1990; Cass. pen., Sez. VI, 18/11/1994). Si noti comunque che le Sezioni Unite sopra citate hanno rilevato come la norma in esame non sanzioni le ipotesi in cui, nell’ambito della professione per la quale la persona è abilitata, siano assenti particolari qualità richieste per lo svolgimento di peculiari funzioni, delegabili ad altri soggetti.

In ogni caso, per atto di esercizio della professione deve intendersi quello tipico ed esclusivo di chi esercita quella determinata attività protetta, non potendo la norma essere applicata in presenza del semplice compimento di atti non tipici realizzabili da chiunque, anche se abbiano connessione con quelli professionali (Cass. pen., Sez. VI, 11/5/1990). In proposito, tuttavia, la giurisprudenza è oscillante posto che se da un lato si ritiene che, perché sussista il delitto occorre che l’agente abbia concretamente posto in essere atti inerenti la professione abusivamente esercitata, non essendo perciò rilevante l’iscrizione nell’albo professionale, né l’allestimento di uno studio, trattandosi di meri atti prodromici (Cass. pen., Sez. V, 18/2/2002; Cass. pen., Sez. VI, 3/1/2001), dall’altro vi sono diverse pronunce secondo cui non si necessita, per la sussistenza della fattispecie, dell’adozione di comportamenti riservati, in via esclusiva, a soggetti dotati di speciale abilitazione – i c.d. atti tipici della professione – essendo sufficiente anche la realizzazione di condotte caratteristiche a condizione che vengano compiute in modo continuativo e professionale (Cass. pen., Sez. VI, 8/10/2002, con riferimento alle attività cosiddette libere relative alla professione di ragionieri e periti commerciali, di cui all’art. 1, prima parte, D.P.R. 27/10/1953, n. 1068).

Da ultimo questo secondo indirizzo è stato confermato da Cass. pen., Sez. IV, 12/2/2020, n. 12282, pur con la precisazione che, ove l’esercizio abusivo consista nello svolgimento di atti non attribuiti esclusivamente ad una determinata professione, tali atti siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.

Va detto comunque che anche le pronunce più severe subordinano l’esistenza del reato alla circostanza che l’attività posta in essere dall’agente abbia assunto rilevanza esterna (Cass. pen., Sez. VI, 4/5/2000, con riferimento allo svolgimento di mansioni tecnico-burocratiche nell’istruttoria di pratiche di condono edilizio a supporto dell’Ufficio comunale). Tutelando il reato non l’affidamento del singolo sulle capacità professionali e tecniche del soggetto cui si rivolge per lo svolgimento di attività inerenti professioni protette, bensì l’interesse generale indicato supra, il delitto in questione è ritenuto sussistente anche in caso di possesso, in capo al soggetto non legittimato, dei requisiti tecnici ed attitudinali richiesti per l’esercizio della professione, quando non accertati e documentati mediante l’iscrizione all’apposito albo professionale, o tramite il possesso dell’abilitazione (Cass. pen., Sez. VI, 10/3/1989), ovvero nel caso in cui il soggetto, pur avendo superato l’esame di Stato necessario a conseguire la relativa abilitazione, non sia comunque iscritto nel relativo albo professionale (Cass. pen., Sez. VI, 5/3/2004).

Per la medesima ragione, si ritiene sussistente l’illecito anche in caso manchi lo scopo di lucro in capo all’agente (Cass. pen., Sez. II, 22/8/2000; Cass. pen., Sez. VI, 29/11/1983. Contra, tuttavia, Cass. pen., Sez. VI, 8/10/2002), ovvero allorquando l’attività esplicata si sia esaurita in un solo atto (Cass. pen., Sez. VI, 10/10/2007; Contra, Cass. pen., Sez. VI, 5/7/2006). La sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Un., 23/3/2012, n. 11545) hanno poi chiarito che costituisce esercizio abusivo della professione il compimento senza titolo, anche occasionalmente e gratuitamente, di atti attribuiti in via esclusiva a una determinata professione così come il compimento di atti che pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione ed eseguiti con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare le oggettive apparenze di un’attività professionale. In termini analoghi v., di recente, Cass. pen., Sez. VI, 28/2/2022, n. 7053; Cass. pen., Sez. V, 13/1/2017, n. 7630 e Cass. pen., Sez. VI, 3/11/2016, n. 51362.

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello aveva confermato la condanna alla pena di giustizia irrogata ai danni di un imputato dal Tribunale, ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 348 c.p. per aver esercitato l’attività professionale di geometra pur risultando sospeso dal relativo albo. In particolare, secondo la duplice valutazione conforme resa dai giudici del merito, il reo avrebbe assunto e svolto il ruolo di direttore lavori inerenti alla costruzione di un edificio di proprietà delle parti civili costituite, come confermato dalla avvenuta presentazione, in tale qualità, della relativa comunicazione di inizio lavori (CILA).

Ricorrendo in Cassazione, la difesa ne sosteneva l’erroneità, in particolare perché la comunicazione di inizio lavori non rientrerebbe tra gli atti espressamente riservati alla professione di geometra, potendo essere presentata da chiunque, anche da soggetto privo di qualifica e titolo abilitativo e non necessariamente dal direttore dei lavori, tanto che la mancata indicazione di quest’ultimo in seno al detto atto non costituisce neppure motivo di decadenza del permesso a costruire inerente ai lavori da realizzare. Erroneamente poi i giudici del merito avrebbero ritenuto che nel caso, pur in assenza della mancata individuazione di un atto tipicamente riservato alla professione di geometra, il contegno del reo, risoltosi unicamente nella detta presentazione della comunicazione di inizio lavori, avrebbe ugualmente integrato i tratti costitutivi del reato contestato. Anche a voler ritenere detta condotta riconducibile ad una attività comunque caratteristicamente propria, anche se non esclusiva, della citata professione, in ogni caso l’occasionalità dell’azione, l’assenza di organizzazione a sostegno della prestazione e la stessa gratuità della prestazione deponevano per una soluzione contraria alla luce delle indicazioni di principio offerte dalla Cassazione sin dalla sentenza “Cani” (Cass. pen., Sez. Un., n. 11545 del 15/12/2011) delle Sezioni unite.

La S.C., nel disattendere la tesi difensiva, ha invece affermato come fosse di tutta evidenza che la comunicazione di inizio lavori, piuttosto che costituire il momento di unica espressione della condotta abusiva contestata, è stata invece valorizzata dall’accusa prima e dal Tribunale poi quale momento fattuale di conferma logica del concreto esercizio dell’attività, professionalmente abusiva, legata all’incarico di direzione dei lavori conferito dalla parte civile. E in questa ottica, è del tutto indifferente per la Cassazione che nel caso l’atto potesse essere realizzato anche direttamente dallo stesso committente mentre è invece determinante che sia stato posto in essere dal ricorrente, all’uopo proprio spendendo la relativa qualifica, così da confermare, anche sul piano logico, il concreto esercizio dell’attività protetta destinata a sostanziare la condotta illecita.

In particolare, poi per la S.C. è del tutto irrilevante rivendicare la occasionalità dell’atto, o, ancora, rimarcare l’assenza di una struttura organizzativa chiamata a sostenerlo e la non remuneratività della prestazione, seguendo le indicazioni di principio offerte dalla giurisprudenza di legittimità sin dalla sentenza delle sezioni unite “Cani” (Cass. pen., Sez. Un., n. 11545 del 15/12/2011). Si tratta di aspetti che mal si attagliano alla situazione in esame. Non riguardano infatti condotte, come quella legata, per i geometri, alla direzione dei lavori inerenti alla costruzione di un edificio residenziale, che si sostanziano in atti esclusivamente tipici della professione di riferimento; piuttosto, afferiscono ad ipotesi diverse, inerenti ad atti non di esclusiva pertinenza della professione protetta bensì solo caratterizzanti quel determinato ruolo professionale, rispetto ai quali la non occasionalità, la realtà organizzativa che li sostiene e la remuneratività della relativa prestazione assumono un rilievo decisivo con riguardo alla configurabilità dell’ipotesi di reato in discussione. Da qui, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.

Riferimenti normative:

Art. 348 c.p.

Art. 16R.D. 11 febbraio 1929, n. 274

Condividi

Invia con WhatsApp