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Diritto alla riparazione anche ove l’ingiusta detenzione derivi da vicende successive alla condanna

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Penale

Riparazione per ingiusta detenzione

Diritto alla riparazione anche ove l’ingiusta detenzione derivi da vicende successive alla condanna

mercoledì 06 settembre 2023

di Galasso Michele Avvocato in Torino

Si ha diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche ove quest’ultima derivi dall’illegittimità sopravvenuta dell’ordine di esecuzione, purché la stessa non dipenda da un comportamento doloso o colposo del condannato (Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 26 luglio 2023, n. 32380).

Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 26 luglio 2023, n. 32380

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen., Sez. IV, 21/9/2017, n. 57203

Cass. pen., Sez. IV, 14/1/2021, n. 1718

Cass. pen., Sez. IV, 1/12/2021, n. 9721

Difformi Non si rinvengono precedenti

Il caso

Un individuo condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione veniva tradotto presso la Casa Circondariale all’esito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dalla Corte d’appello.

Nello specifico, il predetto era stato posto in detenzione poiché, essendo stato condannato anche per il reato di peculato, ai sensi della L. 9 gennaio 2019 n. 3, non era stata applicata la sospensione dell’ordine di esecuzione per la carcerazione.

Una volta incarcerato il soggetto presentava istanza di affidamento in prova con richiesta di applicazione provvisoria da parte del Magistrato di Sorveglianza, che però veniva respinta dal giudice adito con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Sorveglianza, ma all’esito di tale provvedimento l’interessato rinunciava formalmente alla propria richiesta di misura alternativa.

Tuttavia, all’esito della pronuncia n. 32 del 2020 della Corte costituzionale che aveva dichiarato la illegittimità della L. n. 3/2019 nella parte in cui l’art. 1, comma 6, lett. b) era stato interpretato nel senso che le modificazioni introdotte si applicassero anche ai condannati per reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge stessa, la Procura generale aveva emesso ordine di sospensione della carcerazione.

Infatti, la persona incarcerata aveva commesso il reato ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi della L. n. 3/2019 prima dell’entrata in vigore della norma citata.

In ragione degli sviluppi che avevano caratterizzato la sua vicenda, il soggetto che aveva patito la carcerazione presentava istanza di riparazione per ingiusta detenzione in relazione al periodo intercorso tra l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e l’emissione del successivo ordine di sospensione.

All’esito della discussione in camera di consiglio, la Corte d’appello rigettava l’istanza evidenziando, da un lato, che l’ordine di esecuzione non sospeso originariamente disposto da parte della Procura Generale fosse stato emesso sulla base di una interpretazione assolutamente consolidata al momento della sua emissione e, dall’altro, che le vicende successive occorse avanti al Magistrato ed al Tribunale di Sorveglianza costituissero prova della sussistenza di elementi di colpa a carico dell’interessato.

Il ricorso

Avverso l’ordinanza della Corte d’appello l’interessato, tramite il proprio difensore, proponeva ricorso per Cassazione.

Con l’atto di impugnazione veniva dedotto il vizio di violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 606 comma 1, lett. b) e c) c.p.p. in merito alla ritenuta configurabilità di un profilo di colpa grave in capo all’istante.

La decisione della Corte

La Suprema Corte dichiara parzialmente fondato il ricorso.

Anzitutto la Corte di Cassazione compie una rapida disamina della L. 9 gennaio 2019 n. 3 e delle vicende giuridiche che hanno interessato tale norma.

Viene evidenziato che l’art. 1, comma 6, lett. b) della L. n. 3/2019 aveva inserito nell’elenco dei delitti previsti dall’art. 4-bis, comma 1 della legge sull’Ordinamento Penitenziario i delitti contro la pubblica amministrazione di cui agli artt. 314, comma 1 (ovvero il peculato), 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322 e 322-bis del Codice penale.

Per effetto di questo inserimento, i delitti predetti erano divenuti soggetti al medesimo regime “ostativo” rispetto alla concessione dei permessi premio, del lavoro all’esterno e delle misure alternative alla detenzione, esclusa la liberazione anticipata, che vige per i delitti che già prima erano elencati nell’art. 4-bis, comma 1 O.P. e, inoltre, era stato esteso a tali reati il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena ai sensi dell’art. 656 comma 9 lett. a) c.p.p.

A causa dell’assenza di una disciplina transitoria, in una prima fase si era ritenuto che dette disposizioni, trattandosi di norma procedurale, potessero essere applicate anche a chi era stato condannato per fatti commessi prima dell’entrata in vigore della disposizione medesima.

Tuttavia, la Corte costituzionale con sentenza n. 32/2020 aveva dichiarato “l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 25, comma 2 Cost., dell’art. 1, comma 6, lett. b) della L. n. 3/2019, in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all’art. 4-bis, comma 1 della L. n. 354/1975 si applicassero anche ai condannati che avessero commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 3/2019.

Poiché le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale esplicano efficacia retroattiva, giacché, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 136 Cost. e 30, comma 3 della L. 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimità costituzionale travolge tanto i rapporti futuri quanto quelli passati o, meglio, pendenti, la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione proposta dalla parte ricorrente è indubbiamente ammissibile, a prescindere dalla sussistenza di un precedente orientamento consolidato di segno opposto della giurisprudenza “ordinaria”.

Infatti, in più occasioni analoghe la Corte costituzionale ha riconosciuto la sussistenza del diritto alla equa riparazione in caso di detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. e violazione dell’art. 5 della CEDU che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta in ordine alla ragione dell’errore.

Sulla scorta di tali principi, in seno alla giurisprudenza di legittimità si è affermato l’orientamento secondo cui il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è configurabile anche ove quest’ultima derivi dall’illegittimità, originaria o sopravvenuta, dell’ordine di esecuzione, purché la stessa non dipenda da un comportamento doloso o colposo del condannato.

Fatte tali premesse generali in diritto, la Suprema Corte ripercorre l’iter che aveva condotto dalla carcerazione alla sospensione dell’ordine di esecuzione della stessa, sottolineando che, mentre la Procura generale era certamente incorsa in errore applicando retroattivamente la disciplina dettata dalla L. 9 gennaio 2019 n. 32, la sussistenza di un errore non poteva configurarsi rispetto a quanto disposto dal Magistrato e dal Tribunale di Sorveglianza.

Infatti, l’istanza di affidamento in prova non era stata dichiarata inammissibile dal Magistrato di Sorveglianza, che aveva respinto nel merito la richiesta di concessione provvisoria di fatto disattendendo l’interpretazione retroattiva della L. n. 32/2019, e lo stato di detenzione si era poi protratto sino all’emissione del provvedimento di sospensione da parte della Procura generale in conseguenza della successiva rinuncia all’istanza di misura alternativa da parte dell’interessato con conseguente pronuncia di non luogo a procedere da parte del Tribunale di Sorveglianza.

Pertanto, riconosciuto il diritto a richiedere la riparazione per ingiusta detenzione da parte del ricorrente, la Corte di Cassazione adita precisa però che lo stesso poteva dolersi unicamente della reclusione patita dal momento di esecuzione dell’ordine di carcerazione sino alla pronuncia del Magistrato di Sorveglianza, che già aveva disapplicato la normativa di cui alla L. n. 32/2019 correttamente decidendo nel merito la richiesta di concessione provvisoria dell’affidamento in prova, e, dunque, annulla con rinvio alla Corte di Appello per un nuovo giudizio limitatamente al periodo sopra individuato.

Riferimenti normativi:

Art. 1, comma 6, lett. b), L. n. 3/2019

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