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Arresti domiciliari per chi commette reati di pedopornografia mediante social network

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Penale

Misure di prevenzione

Arresti domiciliari per chi commette reati di pedopornografia mediante social network

mercoledì 13 settembre 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva applicato ad un uomo, indagato per i reati di cui agli artt. 81, cpv, 110, 600-ter, comma 3, 600-quater.l e 604-bis, comma 2, c.p., la misura cautelare degli arresti domiciliari, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 6 settembre 2023, n. 36851 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui tale misura era sproporzionata ed inadeguata, laddove l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, accompagnato dal divieto di utilizzazione dei social network, si appalesava idoneo a rassicurare in ordine alla ritenuta esigenza cautelare del pericolo di recidiva – ha affermato che la misura degli arresti domiciliari, ove correttamente accompagnata dalle opportune prescrizioni di carattere comunicativo, è, data la tipologia dei reati in provvisoria contestazione, tutti commessi con l’ausilio di strumenti informatici di comunicazione, la meno afflittiva fra quelle che consentono di adeguatamente presidiare il pericolo di reiterazione delle condotte criminose, né tale misura si pone di per sé come ineludibilmente ostativa al processo di risocializzazione dell’indagato.

Cassazione penale, Sez. III, sentenza 6 settembre 2023, n. 36851

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Non si rinvengono precedenti
Difformi Non si rinvengono precedenti

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che il sistema cautelare propone la tipizzazione di un “ventaglio” di misure, di gravità crescente (artt. 281285), la cui scelta è condotta sulla base del criterio di “adeguatezza” e “proporzionalità” (art. 275, commi 1 e 2, c.p.p.), dando corpo al principio del “minore sacrificio necessario”, per cui si impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto.

Se le esigenze cautelari non sono direttamente ricollegabili alla qualifica soggettiva rivestita dal soggetto da sottoporre, ma alle sue caratteristiche intrinseche che prescindono dalle eventuali qualità rivestite e sempre che si proceda per un reato punito con la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore ai limiti di legge, allora occorrerà “scegliere” fra le seguenti misure di carattere coercitivo che il codice dispone, idealmente, in ordine crescente di afflittività: partendo dal divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.), continuando per l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p.), l’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p., norma introdotta dall’art. 1L. 4/4/2001, n. 154), il divieto e obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.), gli arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.), anche con braccialetto elettronico, per giungere, se si ritiene che nessuna di queste misure sia capace di arginare i rischi paventati nell’art. 274 c.p.p., sino alla custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.) o in luogo di cura qualora la persona da sottoporre a custodia cautelare si trovi in «stato di infermità di mente che ne esclude e ne diminuisce grandemente la capacità di intendere e volere» (art. 286 c.p.p.).

La valutazione di adeguatezza della misura in concreto applicata si traduce, invero, nella individuazione – nel quadro delle esigenze di cautela preliminarmente apprezzate – della prescrizione più idonea al contenimento dello specifico profilo di rischio ritenuto sussistente e si pone, pertanto, in stretta correlazione con le premesse enunciate. Il principio di adeguatezza, al pari di quello di proporzionalità, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto (V. Cass. pen., Sez. Un., n. 20769 del 28/4/2016, L., CED Cass. 266650; Cass. pen., Sez. Un., n. 16085 del 31/3/2011, P.M. in proc. K., CED Cass. 249324) e l’art. 275 c.p.p., nell’attribuire al giudice ampi poteri discrezionali nella scelta della misura da applicare all’indagato o imputato, impone di valutare se la misura che si intende adottare sia idonea a soddisfare le specifiche esigenze cautelari ravvisate. Di guisa che la formulazione del giudizio di adeguatezza e proporzionalità della misura alle esigenze che si intendono soddisfare è strettamente correlato alla preliminare delibazione delle esigenze di cautela ed è, pertanto, incensurabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici, che colleghi razionalmente le conclusioni alle premesse del complessivo apprezzamento cautelare.

Nel caso in cui venga richiesta la sostituzione della misura detentiva, l’indagine volta ad accertare l’adeguatezza di quella attenuata presuppone la individuazione delle esigenze cautelari da soddisfare e la indicazione delle ragioni per le quali essa viene ritenuta, in ipotesi, idonea allo scopo e proporzionata alla entità e gravità dei fatti di reato oggetto di indagine ed alle modalità esecutive della condotta. In particolare, l’adeguatezza degli arresti domiciliari in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), può essere ritenuta quando sia possibile e ragionevole prevedere che l’indagato non si sottrarrà all’osservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio, alla stregua di un giudizio prognostico complessivo, fondato su elementi specifici inerenti al fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità dell’indagato (Cass. pen., Sez. VI, n. 53026 del 6/11/2017, C., CED Cass. 271686), elementi da apprezzarsi nelle loro implicazioni logiche e concorrenti, e non già alla mera stregua dell’assenza di rilevate inosservanze.

Tanto premesso, nel caso in esame, il GIP del Tribunale aveva applicato ad un uomo, indagato per i reati di cui agli artt. 81, cpv, 110, 600-ter, comma 3, 600-quater.l e 604-bis, comma 2, c.p. (pedopornografia), la misura cautelare degli arresti domiciliari. Il Tribunale del riesame aveva rigettato la richiesta avanzata dalla difesa dell’indagato.

Ricorrendo in Cassazione, per quanto qui di interesse, la difesa ne sosteneva l’erroneità, in particolare rilevando, in ordine alla ritenuta adeguatezza e proporzionalità, nel caso di specie, della misura degli arresti domiciliari rispetto alle esigenze cautelari. La motivazione del Tribunale si risolveva in una formula di stile, consistendo nell’affermazione per cui solo la misura degli arresti domiciliari consentiva di vietare la comunicazione con qualsiasi mezzo con soggetti diversi dai familiari, divieto assolutamente necessario, data la tipologia di condotte ascritte all’indagato; inoltre, la difesa aveva rilevato come la sostituzione della misura con quella meno afflittiva dell’obbligo di presentazione alla Pg avrebbe consentito all’indagato di riprendere gli studi universitari ed in generale di prevenire l’aggravarsi della specifica patologia dalla quale egli è affetto; del resto, la misura sostitutiva poteva essere accompagnata dal divieto di utilizzazione dei social network, idoneo a rassicurare in ordine alla ritenuta esigenza cautelare.

La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C. per ciò che attiene alla compatibilità della misura applicata (cioè gli arresti domiciliari) con la patologia di cui l’indagato era portatore (quale emergente dalla documentazione in atti ed in particolare dalla cartella clinica aperta a nome del medesimo presso il Dipartimento di salute mentale della Asl), ha osservato che, essendosi dato carico il Tribunale di valutare la compatibilità fra misura cautelare a stato nosologico dell’indagato, il predetto organo giudiziario aveva rilevato come, solo recentemente egli era stato preso in carico dalla struttura sanitaria, sebbene presentasse un quadro clinico non fisiologico, stante la ritenuta psicosi schizotipica con ideazione delirante cronica e umore depresso, si mostrava lucido, orientato nel tempo e nello spazio, disponibile al colloquio terapeutico, collaborante ed adeguato nel suo comportamento, tanto che lo stesso necessitava, dal punto di vista terapeutico, solo della somministrazione di medicinali antidepressivi.

Un tale quadro clinico appariva essere stato ragionevolmente considerato in sede di riesame cautelare non incompatibile con la misura degli arresti domiciliari la quale, al contempo, appariva, per i Supremi Giudici, ove correttamente accompagnata dalle opportune prescrizioni di carattere comunicativo, essere, data la tipologia dei reati in provvisoria contestazione a carico dell’indagato, tutti commessi con l’ausilio di strumenti informatici di comunicazione, la meno afflittiva fra quelle che consentono di adeguatamente presidiare il pericolo di reiterazione delle condotte criminose.

Né, si aggiunge da parte della Cassazione, una tale misura si pone di per sé come ineludibilmente ostativa all’auspicabile processo di risocializzazione dell’indagato, da realizzarsi, oltre che tramite un’adeguata terapia clinica e farmacologica, anche attraverso lo svolgimento degli studi universitari o, comunque, attraverso il conseguimento di titoli scolastici, ben potendo le modalità di realizzazione di tale processo essere oggetto di specifiche e puntuali istanze tempestivamente indirizzate agli organi competenti volte a consentire, nei limiti del necessario, la presenza, sottoposta agli opportuni controlli, del reo nelle sedi ove sono operate le verifiche sanitarie, educative e culturali finalizzate sia alla cura medica dell’indagato anche al conseguimento dei titoli di studio, funzionali – attraverso la crescita educativa di cui essi debbono intendersi il portato – ad una sua “riabilitazione” anche di carattere etico e sociale.

Da qui, dunque, l’inammissibilità del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 284 c.p.p.

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